Il legame fra diabete e zucchero è acquisizione antichissima: se ne ritrova traccia nella letteratura sanscrita fina dal sesto secolo prima di Cristo, quando nel Sushruta Samhita e nel Charaka Samhita, antichi testi ayurvedici, troviamo scritto che l’urina di pazienti con poliuria è appiccicosa e “sa di miele”. Due millenni dopo il medico inglese Mathew Dobson (1735-1784) sperimentò che disidratando l’urina di pazienti diabetici si otteneva un residuo simile allo zucchero grezzo per aspetto e sapore. Anche il siero da sangue diabetico risultava dolciastro. La proibizione o limitazione di zuccheri divenne quindi una norma, anche se non tutti gli zuccheri risultano “diabetogeni”: più importante risulta oggi l’attenzione al cosiddetto “Indice glicemico”, cioè la velocità con cui il valore della glicemia aumenta in risposta all’assunzione di zuccheri. L’indice glicemico è espresso in percentuale, con valore che esprime il rapporto di velocità di aumento della glicemia: in riferimento al glucosio (valore 100), se uno zucchero (o un alimento in genere) presenta indice glicemico di 50, significa che è in grado di aumentare la glicemia a velocità dimezzata.