Sclerosi multipla – Ferorelli

Inconfronto della maggior parte delle altre cellule i neuroni hanno una superficie molto estesa, specializzata, per la sua composizione molecolare, nella ricezione, conduzione e trasmissioni di informazioni. Il nucleo di ciascun neurone è circondato da una massa di citoplasma contenete vari granuli; nucleo e pericario insieme formano il pericario o pirenofero; i sottili prolungamenti che si staccano dal corpo possono essere distinti in dendriti o assoni.

In generale la cellula nervosa è provvista di molti dendriti, che conducono gli impulsi verso il corpo, ma di un solo assone, che li conduce dal corpo al suo terminale; il citoplasma del corpo contiene, tranne che nel cono di emergenza o collicolo assonico, sporgenza conica che si continua con l’assone, un numero di granuli o corpi di Nissel basofili.

Da altre sporgenze del corpo si originano i dendriti primari o principali, che si ramificano ripetutamente formando una arborizzazione dendritica; generalmente gli assoni terminano con numerosi, sottili terminali assonici o telodendri, a contatto con altri neuroni in corrispondenza delle sinapsi interneuroniche, oppure con effettori periferici, quali elementi muscolari nelle giunzioni neuromuscolari o con cellule secernenti.

In alcuni casi, i terminali assonici di neuroni che sintetizzano ormoni, si trovano, in corrispondenza della parete dei vasi sanguiferi, e possono liberare il secreto direttamente nel lume vasale.

Nella figura sotto riportata sono illustrati le configurazioni dei vari tipi di neuroni.

1: neurone pseudounipolare di un gaglio sensitivo; 2: neurone bipolare; 3: neurone stellato Iisodendritico), con 4-5 e 11 che sono varianti di questo tipo; 6: neurone piramidale della corteccia cerebrale, con un dendrite apicale, numerosi dendriti ed un assone basali e collaterali assonici ricorrenti; 7: neurone di Puukinje della corteccia cerebrale; 8: neurone di golgi della corteccia cerebrale; 9 e 10: cellule amcrine, prive di assone; 12: neurone glomerulare (cellula mitrale) del bulbo olfattivo, con estremità dendritiche incurvate.

Proprietà fisiologiche nei neuroni.

Tipica dei neuroni è la capacità di ricevere, condurre e trasmettere informazioni, codificate sotto forma di modificazioni elettrochimiche transitorie del loro plasmalemma; tali modificazioni consistono in rapidi afflussi di ioni attraverso il plasmalemma, che vengono a mutare una condizione di base, rappresentata dalla differenza di potenziale elettrico esistente, a riposo, tra i due versanti del plasmalemma stesso. Vedi figura sotto riportata.

I tipi di modificazione potenziale elettrico in un neurone motore somatico, registrabili attraverso la membrana nei punti indicati dalle frecce.

Le sinapsi eccitatorie ed inibitorie presenti sulla superficie dei dendriti e del pirenofero provocano circoscritte modificazioni graduate di potenziale, che si sommano a livello del cono di emergenza dall’assone e possono, secondo la legge del tutto o nulla, far insorgere una successione di potenziali d’azione; questi, a loro volta, vebgono condotti lungo l’assone fino ai terminali effettori.

Ultrastruttura dei neuroni.

Si distinguono parti formate in prevalenza da pirenofori e dendriti (sostanza grigia) e pari in cui predominano gruppi regolari di fibre nervose o fasci di fibre (sostanza bianca); nella sostanza grigia, intorno ai pirenofori, vi è una struttura complessa costituita da terminali assonici, dendriti, corpi e prolungamenti nevrogliali e denominata neuropilo.

Il citoplasma di un pirenoforo tipico è ricco di reticolo endoplasmatico liscio e granulare e poliribosomi liberi, questi ultimi spesso raccolti in ammassi voluminosi aderenti alle membrane del reticolo e visibili al microscopio-luce come corpi o zolle di Nissl o granuli cromofori, basofili per il loro contenuto di RNA; questi sono molto più evidenti nelle grosse cellule attive, come i neuroni motori somatici spinali, dove si osservano pile di reticolo endoplasmatico granulare.

Vedi figura sotto riportata.

Disegno schematico dell’ultrastruttura di un neurone somatico, che ne mostra il perinofero e parte dell’albero dendritico (in alto, a sinistra); i dendriti sono coperti di spine, in contatto con tipi differenti di terminali sinaptici.

 Il citoplasma del pirenofero contiene pile di cisterne del reticolo endoplasmatico granulareed altri organuli.

Il nucleo è di solito voluminoso, sferoidale, eucromatico, con uno o più nuclei di grosse dimensioni, come in tutte le cellule impegnate in una rilevante attività di sintesi proteica.

I lisosomi si trovano in moderata quantità e le pile di cisterna dell’apparato del Golgi formano gruppi distinti, soprattutto alla base dei più grossi dendriti e del collicolo assonico.

Neurofilamenti e neurotubuli sono abbondanti; fasci dei primi corrispondono alle neurofibrille della microscopia-luce; entrambi si trovano nel pirenoforo, ma anche nei dendriti e negli assoni.

I dendriti di solito sono più ricchi di microtuboli dell’assone, che può essere quasi completamente occupato da microfilamenti.

Singoli neurotuboli e neurofilamenti non si ramificano, mentre lo fanno, nei punti di suddivisione dei prolungamenti neuronali, i loro fasci.

Anche nei neuroni, come nella maggior parte delle cellule , sono stati descritti microfilamenti di actina.

Di solito nel citoplasma dei neuroni si trovano anche altri inclusi, granuli di pigmento sono caratteristici di talune parti dell’encefalo; ad esempio, i neuroni della sostanza nera contengono neuromelanina, probabilmente prodotto residuo della sintesi di catecolamine.

Introduzione:

Sclerosi Multipla

La sclerosi multipla, o sclerosi a placche, è una grave malattia del sistema nervoso centrale, cronica e spesso progressivamente invalidante.

Può presentarsi durante quasi tutto l’arco della vita, tra i 15 e i 50 anni, anche se questa malattia si manifesta soprattutto tra i giovani adulti, tra i 20 e i 30 anni, e tra le donne, in un rapporto di due a uno rispetto agli uomini.

Ogni anno si verificano 1.800 nuovi casi. Oggi è possibile formulare una rapida diagnosi della malattia, ma la strada per trovare una cura risolutiva è ancora lunga.

La sclerosi multipla, anche siglata SM o MS (multiple scleroris), è una malattia che colpisce il sistema nervoso centrale, cioè cervello e midollo spinale.

Viene anche denominata sindrome da demielinizzazione o demielinizzante, poiché caratterizzata da una progressiva degenerazione/distruzione della mielina. Quest’ultima è una sostanza costituita da acidi grassi (perciò di colore bianco), che detiene un ruolo fondamentale del funzionamento del sistema nervoso centrale.

La mielina riveste, come una guaina, le fibre nervose permettendo la trasmissione rapida e integra degli impulsi (messaggi o comandi) che dal cervello e dal midollo spinale, si dipartono verso le altre parti del corpo e viceversa dalla periferia vanno al centro.

La distruzione delle guaine mieliniche nel sistema nervoso centrale, causa il blocco o il rallentamento della normale conduzione degli impulsi nervosi comportando il manifestarsi di una estrema varietà di sintomi propri di questa malattia.

Le zone in cui la mielina è stata danneggiata o distrutta vengono anche dette “placche” o aree di demielinizzazione. Tali aree nel tempo vanno incontro ad un processo di indurimento, o meglio di cicatrizzazione. Da qui nasce il nome di sclerosi multipla: “sclerosi” per la presenza di lesioni cicatrizzate (le placche), “multipla” per il fatto che le lesioni possono interessare varie zone del sistema nervoso centrale.

Date le sedi multiple delle placche ne consegue un quadro clinico importante e vario.

Il danno a carico del SNC è rappresentato dalla demielinizzazione che consiste nella scomparsa della mielina, la sostanza fondamentale della guaina che riveste gli assoni delle fibre nervose. Nel SNC, la mielina viene prodotta dagli oligodendrociti e risulta costituita da lamelle lipidiche sovrapposte che formano manicotti interrotti da nodi, i nodi di Ranvier contenente Mitocondri, enzimi con alto grado di affinità, fondamentali per regolare il segnale di comando verso il midollo spinale (Figura 1). La mielina è fondamentale nella trasmissione degli impulsi nervosi poiché, attraverso un meccanismo di tipo “saltatorio” da un nodo di Ranvier all’altro, rende la conduzione dello stimolo lungo la fibra nervosa più rapida ed efficace rispetto alle fibre non mielinizzate.

La progressiva degradazione della mielina in diversi punti del SNC tipica della SM si esprime con manifestazioni cliniche di estrema variabilità, dato che la distruzione delle guaine mieliniche rallenta o blocca la trasmissione degli impulsi nervosi lungo le fibre del cervello e del midollo spinale. Le aree della sostanza bianca interessate dal processo di rimozione del rivestimento mielinico delle fibre nervose prendono il nome di “placche” di demielinizzazione che rappresentano il substrato anatomo-patologico della SM (Figura 2). Queste lesioni presentano una forma irregolare, più spesso ellissoidale, con l’asse maggiore centrato su una venula ed una distribuzione multifocale. Le “placche” di demielinizzazione hanno una distribuzione topografica preferenziale perché si localizzano con maggior frequenza a livello della sostanza bianca situata attorno ai ventricoli laterali, nel tronco-encefalico, nel cervelletto e nel midollo spinale e possono estendersi anche in corrispondenza della sostanza grigia.

Trattamenti terapeutici.

Attualmente la medicina convenzionale non dispone di una cura definitiva alla sclerosi multipla. E’ difficile determinare gli effetti terapeutici di trattamenti sperimentali essendo una malattia caratterizzata per la maggior parte dei casi da remissioni spontanee. I farmaci oggi impiegati sono sperimentali , ma ancora non rappresentano una soluzione al problema.

Il fatto di non essere ancora a conoscenza delle cause prime della malattia, rappresenta un forte limite a nuove prospettive terapeutiche; inoltre l’estrema variabilità della malattia comporta risposte altrettanto variabili alle terapie cliniche, con particolare riferimento ai farmaci immunomodulatori ed immunosoppressori. Un ulteriore limite sta nel fatto che fattori di previsione e di definizione della risposta clinica risultano ancora non ben definiti.

Tutte le attuali ricerche sono proiettate verso terapie multiple, cioè trattamenti terapeutici con più farmaci, in modo combinato o in sequenza.

In passato, il trattamento principale della sclerosi multipla era rappresentato da farmaci antinfiammatori steroidei quali l’adrenocorticotropina (conosciuto come ACTH), il prednisone, il metilprednisolone, il prednisolone, il betametasone ed il dexametasone.

I corticosteroidi non sono impiegati in trattamenti a lungo termine del malato con SM, anzi, generalmente i derivati del cortisone vengonosomministrati ad elevati dosaggi per brevi periodi (giorni) per ridurne gli effetti collaterali che risulterebbero, invece, più gravosi in seguito a trattamento prolungato.

 “Induzione della rimielinizzazione assonale nella Sclerosi Multipla”

Le fibre nervose (assoni) rendono possibile la comunicazione tra cellule nervose (neuroni) attraverso impulsi elettrici. Questa loro capacità è subordinata alla presenza di una guaina isolante avvolta intorno alle fibre nervose, nota come mielina, formata da cellule dette oligodendrociti.
Gli oligodendrociti e la guaina mielinica sono i principali bersagli del processo patologico della SM.
La perdita di oligodendrociti implica quindi la demielinizzazione. La conseguenza è una notevole perdita di efficienza degli assoni nel condurre gli impulsi. Tuttavia, la demielinizzazione può essere seguita da un processo spontaneo rigenerativo o cicatrizzante nel quale nuova guaina mielinica si avvolge agli assoni. Il processo è chiamato rimielinizzazione o riparazione mielinica, che permette agli assoni di ristabilire una conduzione efficiente degli impulsi. Nella prima fase di malattia, quando la degenerazione assonale non è ancora rilevante, il danno demielinizzante tende a ripararsi spontaneamente, almeno in parte. Tale riparazione avviene attraverso diversi meccanismi, come la spontanea riduzione e scomparsa dell’infiltrato infiammatorio, la rimielinizzazione, il reclutamento di vie nervose alternative e anche di altre aree di neuroni della corteccia cerebrale chiamate a vicariare la funzione colpita. La rimielinizzazione è il processo attraverso il quale nuovi strati di mielina si formano intorno agli assoni demielinizzati e ne ripristinano la capacità di trasmettere l’impulso nervoso. Questo processo riparativo è tuttavia non perfetto, e comunque limitato alle fasi iniziali della malattia. La rimielinizzazione è sostenuta da precursori degli oligodendrociti presenti nelle lesioni di SM, gli enzimi sono i componenti fondamentali dei mitocondri (presenti nei nodi di Ranvier), essi catalizzano le numerose reazioni per il mantenimento e la regolazione dei segnali nervosi, la demielinizzazione quindi.

Disattiva le funzione enzimatiche e protonici dell’ assone e del sistema di Ranvier.

Fornire substrati specifici, elaborati e predigeriti in ambiente controllato può aiutare la riattivazione dei mitocondri. I prodotti Citozym, Ergozym ecc. dispongono di pacchetti di substrati elaborati da enzimi in impianto industriale. disponendo energia sottoforma di NAD, FAD, ATP come dimostrato dalle numerose ricerche universitarie ed istituti di ricerca.

La rimielinizzazione è mediata da una popolazione di proteine elaborate dall’ apparato del Golgi, chiamate staminali. Queste proteine sono icomponenti cellulari che vengono definiti cellule progenitrici degli oligodendrociti. In caso di demielinizzazione, queste cellule si attivano e rispondono ai fattori generati dalla demielinizzazione muovendosi e riproducendosi. In poco tempo l’area di remielinizzazione viene riempita da cellule progenitrici degli oligodendrociti.
Successivamente avviene la trasformazione di queste cellule in oligodendrociti che formano nuova guaina mielinica attorno agli assoni demielinizzati. Questo processo è detto differenziamento.

A volte la rimielinizzazione non funziona per un errore nel reclutamento di cellule progenitrici degli oligodendrociti oppure nel loro differenziamento. Il differenziamento sembra essere il più complesso dei due processi, quindi è quello che più probabilmente cadrà in errore.

Sperimentazioni recenti mostrano come causa comune di mancata rimielinizzazione nei pazienti con SM non l’assenza di cellule progenitrici degli oligodendrociti, ma il loro mancato differenziamento in oligodendrociti capaci di rimielinizzare. Due sono le possibili spiegazioni del mancato differenziamento e possono verificarsi singolarmente o contemporaneamente: o mancano i fattori che lo promuovono, o sono presenti fattori che lo inibiscono, come sostanze chimiche o fattori energetici non riconosciuti dagli enzimi mitocondriali.

Pertanto scoprire la vera causa che anno indotto alterazioni cosi devastanti, è opera impossibile,

Ribadiamo ancora una volta che, il mondo scientifico procede con numerose ricerche: chimiche, fisiche, chimico-fisiche, molecolari e nanosistemi.

Citozeatec per ottenere i propri prodotti, ha sviluppato da diversi anni tecnologie mediante conversioni enzimatiche denominate “Biodinamiche”, tenuto conto che il metabolismo cellulare utilizza numerosi cicli per sintetizzare la specificità dei componenti per i numerosi distretti.

Polisaccaridi e proteoglicani.

La maggior parte dei carboidrati è presente in natura sottoforma di polisaccaridi, polimeri con una massa molecolare molto elevata; i polisaccaridi, chiamati anche glicani, differiscono fra loro per il tipo di unità saccaridica ricorrente, per la lunghezza della catena, per il tipo di legame glicosidico che unisce le unità e per il grado di ramificazione.

Nei tessuti degli animali, lo spazio extracellulare, è riempito da una sostanza gelatinosa, la matrice cellulare, detta anche sostanza, che tiene unite le cellule di un tessuto e contiene numerosi pori attraverso cui passano e diffondono le sostanze nutrienti e l’ossigeno verso le singole cellule.

La matrice extracellulare è composta da un intreccio di eteropolisaccaridi e di proteine fibrose; gli eteropolisaccardidi, chiamati glicosoaminoglicani, sono una famiglia di polimeri lineari costituiti da una ripetizione di unità disaccaridiche.

Uno dei due monosaccaridi è sempre l’N-acetilglucosamina o l’N-acetilgalattosamina; l’altra unità è in molti casi un acido uronico, di solito l’acido glucuronico.

In alcuni glucosoaminoglicani uno o più gruppi ossidrilici sono esterificati con un gruppo solforico; la combinazione fra questi gruppi solforici e i gruppi carbossilici crea sulla molecola del glucosoaminoglicano una elevata densità di carche negative.

Il glicosoaminoglicano acido ialuronico della matrice extracellulare dei tessuti degli animali contiene una alternanza delle unità monomeriche acido D-glucaronico e N-acetilglucosoamina; gli ialuronati hanno masse molecolari che superano il milione di dalton; esse formano soluzioni chiare e molto viscose che servono come lubrificanti nel fluido sinoviale delle giunzioni e conferiscono la caratteristica consistenza gelatinosa all’umor vitreo degli occhi dei vertebrati.

Lo ialuronato è anche uno dei componenti principale della matrice extracellulare della cartilagine e dei tendini e in questi casi contribuisce a rendere questi tessuti più resistenti alla tensione e più elastici.

Alcuni degli eteropolisaccaridi che compongono la matrice extracellulare; i gruppi carbossilici ionizzati e i gruppi solforici conferiscono a questi polimeri una caratteristica carica negativa.

sono composti da catene molto lunghe di ialuronato a cui sono legate in modo non covalente numerose molecole di proteine del nucleo, a intervalli di circa 40 nm; ogni proteina è legata covalentemente a piccola molecole di glicosoamminoglicani, come il condroitin solfato, l’eparan solfato e il dermatan solfato.

Inframmezzate a questi enormi proteoglicani extracellulari vi sono proteine fibrose come il collageno e l’elastina che formano un reticolo con legami trasversali che conferisce resistenza a tutta la matrice extracellulare.

L’attacco della cellula alla matrice extracellulare avviene attraverso diverse famiglie di proteine; i domini extracellulari di certe proteineintegrali della membrana hanno siti di legame per un’altra famiglia di proteine di adesione (comprendente la fibronectina e la laminina) che legano i proteoglicani.

L’associazione fra cellule e proteoglicani della matrice extracellulare è mediata da una proteina di membrana e da una proteina extracellulare con siti di legame sia per l’integrina che per i proteoglicani.

Glicoproteine e glicolipidi.

Molte delle proteine di membrana e alcune classe di lipidi di membrana contengono oligosaccaridi più o meno complessi legati in modo covalente; questi complessi vanno sotto il nome di glicoproteine o glicolipidi.

Sembra che le cellule usino gli oligosaccaridi complessi per codificare le informazione su come si devono ripiegare le catene polipetidiche delle proteine, per stabilire la localizzazione e il riconoscimento da parte di altre proteine.licolisi.

Glicolisi.

La via metabolica della glicolisi, nel suo complesso, è raffigurata nella figura sotto riportata.

nelle reazioni sequenziali della glicolisi, tre tipi di trasformazione chimica sono particolarmente peculiari:

la degradazione dello scheletro carbonioso per formare piruvato.
la fosforilazione di ADP a ATP da parte di un composto ad alta energia che si forma durante la glicolisi.
il trasferimento di atomi di idrogeno o elettroni al NAD+ generando NADH.

La fase preparatoria della glicoilisi richiede l’investimento di due molecole di ATP e porta alla rottura dell’esoso in due molecole di trioso fosfato e il ciclo completo viene ad essere così articolato.

fosforilazione del glucosio: nella prima tappa della glicoslisi, il glucosio viene attivato per le reazioni successive mediante fosforilazione a livello del suo atomo C-6, producendo glucosio-6-fosfato; l’ATP è il donatore del gruppo fosforico:

questa reazione è irreversibile nelle condizioni intracellulari ed è catalizzata dall’esochinasi.

Questo enzima è presente in tutti i tipi di cellule; gli epatociti contengono una forma di esochinasi chiamata esochinasi D o glucochinasi, che è più specifica per glucosio e differisce dalle altre forme di esochinasi per le proprietà cinetiche e regolatorie.

conversione del glucosio-6-fosfato a fruttosio-6-fosfato: la fosfoesosio isomerasi catalizza l’isomerizzazione reversibile del glucosio-6-fosfato, ad un aldoso, il fruttosio-6-fosfato, un chetosio:

questa reazione può procedere in entrambe le direzioni, come suggerito dalla variazione relativamente piccola di energia libera standard.

Anche la fosfoesosio isomerasi richiede Mg2+ ed è specifica per il glucosio-6-fosfato e per il fruttosio-6-fosfato.

fosforilazione del fruttosio-6-fosfato a fruttosio-1,6-bifosfato: nella seconda reazione di innesco della glicolisi, la fosfofruttochinasi-1 catalizza il trasferimento di un gruppo fosforico dell’ATP al fruttosio-6-fosfato formando fruttosio-1,6-bifosfato.

Questa tappa rappresenta il punto principale per la regolazione della glicolisi; l’attività della fosfofruttochiasi-1 tende ad aumentare quando l’ATP comincia a scarseggiare nella cellula, oppure quando si ha un accumulo dei prodotti della demolizione dell’ATP, cioè ADP e AMP, in particolare del secondo.

rottura del fruttosio-1,6-bifosfato: l’enzima fruttosio-1,6-bifosfato aldolasi catalizza una condensazione aldolica reversibile; il fruttosio-1,6-bifosfato viene scisso in due triosi fosfato diversi, la gliceraldeide-3-fosfato, un aldoso, e il diidrossiacetone fosfato, un chetosio.

Durante la glicolisi. I prodotti della reazione (i due triosi) sono rimossi molto rapidamente dalle reazioni successive, spingendo in questo modo la reazione aldolasica nella direzione della rottura.

interconversione dei triosi fosfato: soltanto la gliceraldeide-3-fosfato può essere utilizzato nelle reazioni successive della glicolisi; l’altro prodotto, il diidrossiacetone fosfato viene convertito reversibilmente il gliceraldeide-3-fosfato dal quinto enzima della sequenza glicolitica, la trioso fosfato isomerasi.

Mediante questa reazione gli atomi di carbonio C-1; C-2; C3, diventano indistinguibili rispettivamente dagli atomi C-6; C-5; C-4.

Il destino di questi atomi è illustrato nella figura sotto riportata.

ossidazione della gliceraldeide-3-fosfato a 1,3-bisfosfoglicerato: la prima tappa della fase di recupero energetico della glicolisi e la conversione della gliceraldeide-3-fosfato in 1,3-bisfosfoglicerato, reazione catalizzata dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi; ossidazione condotto come da figura sotto riportata.

trasferimento del gruppo fosforico dell’1,3-bisfosfoglicerato all’ADP: l’enzima fosfoglicerato chinasi trasferisce il gruppo fosforico ad alta energia dal gruppo carbosilico dell’1,3-bisfosfoglicerato all’ADP, formando ATP e 3-fosfoglicerato.

questa reazione della glicolisi e quella precedente costituiscono nel loro insieme un processo di accoppiamento energetico; in queste due reazioni (tappe 6 e 7), l’1,3-bisfosfoglicerato è l’intermedio comune; si forma nella prima reazione che è endoergonica e il suo gruppo fosforico impegnato nell’acil-fosfato viene trasferito all’ADP per formare ATP nella seconda reazione che è esoergonica, la somma delle due reazioni sequenziali è:

gliceraldeide-3-fosfato +ADP +Pi +NAD+ “3-fosfoglicerato + ATP + NADH + H+

∆G0′ = -12,5 kj/mole.

La formazione di ATP mediante il trasferimento dei gruppi fosforici da un substrato come l’1,3-bisfosfoglicerato viene detta fosforilazione a livello del substrato, diversa dalla fosforilazione a livello dei mitocondri, come sarà più avanti descritto.

conversione del 3-fosfoglicerato in 2—fosfoglicerato: l’enzima fosfoglicerato mutasi catalizza lo spostamento reversibile del gruppo fosforico tra gli atomi di carbonio C-2 e C-3 del glicerato; gli ioni Mg2+ sono essenziali per questa reazione.

L’enzima è inizialmente fosforilato a livello di un residuo di His mediante il trasferimento di un gruppo fosforico del 2,3-bifosfoglicerato.

Nella tappa 1) della reazione catalizzata, il fosfoenzima trasferisce il suo gruppo fosforico al 3-fosfoglicerato formando 2,3bifosfoglicerato.

Nella tappa 2), il gruppo fosforico sull’atomo C-3 del 2,3-bifosfoglicerato viene trasferito allo stesso residuo di His dell’enzima, producendo 2-fosfoglicerato e rigenerando il fosfoenzima; il 2,3-bifosfoglicerato necessario inizialmente per fosforilare l’enzima viene formato dal 3—fosfoglicerato da una specifica chinasi ATP-dipendente, questo composto viene poi rigenerato nella tappa 1) di ogni ciclo catalitico. Vedi figura sotto riportata.

deidratazione del 2-fosfoglicerato a fosfoenolpiruvato: la seconda reazione glicolitica che genera un composto con alto potenziale di trasferimento del gruppo fosforico è catalizzata dall’enolasi; questo enzima promuove la rimozione reversibile di una molecola di acqua del 2-fosfoglicerato formando fosfoenolpiruvato.

Anche se il 2-fosfoglicerato e il fosfoenolpiruvato contengono quasi la stessa energia totale, la perdita di una molecola di acqua dal 2-fosfoglicerato determina una ridistribuzione dell’energia all’interno della molecola.

trasferimento del gruppo fosforico del fosfoenolpiruvato all’ADP: l’ultima tappa della glicolisi è il trasferimento del gruppo fosforico del fosfoenolpiruvato all’ADP, catalizzato dalla piruvato chinasi.

In questa reazione, una fosforilazione a livello del substrato, il prodotto piruvato compare prima nella forma enolica; questa ultima tautomerizza molto rapidamente e non enzimaticamente nella forma chetonica del piruvato, ed è quella prevalente a Ph 7,0.

Nella maggior parte degli organismi, gli esosi diversi dal glucosio possono entrare nella glicolisi dopo essere stati fosforilati; il fruttosio, presente in forma libera in molti tipi di frutta o formato dall’idrolisi del saccarosio nell’intestino tenue, può essere fosforilato direttamente dalla esochinasi:

il D-galattosio, derivato dall’idrolisi del disaccaride lattosio, viene prima fosforilato a livello dell’atomo C-1 a spese dell’ATP nella reazione catalizzata dall’enzima galattochinasi:

Galattosio + ATP→galattosio-1-fosfato + ADP.

Il galattosio-1-fosfato viene poi trasformato in glucosio-1-fosfato, il suo epimero a livello dell’atomo di carbonio C-4, mediante un gruppo di reazioni in cui l’uridina di fosfato (UDP) opera da trasportatori di esosi, come illustrato nella figura sotto riportata.

La via di conversione del D-galattosio in D-glucosio.

La conversione procede mediante la formazione di un derivato zucchero-nucleotide, l’UDP galattosio, che si forma quando il galattosio-1-fosfato spiazza il glucosio-1-fosfato dall’UTO-glucosio.

L’UDP-galattosio viene poi trasformato in UDP-glucosio dalla UDP-glucosio-4-epimerasi.

L’UDP-glucosio viene riciclato in un latro giro delle stesse reazioni; l’effetto netto di questo ciclo è la conversione del galattosio-1-fosfato in glucosio-1-fosfato, non vi è produzione netta o consumo di UDP-galattosio o UDP-glucosio.

Metabolizzazione dei disaccaridi.

I disaccaridi non possono entrare direttamente nella via glicolitica e in aggiunta non possono entrare nella cellula senza prima essere idrolizzati da enzimi legati alla superficie esterna delle cellule epiteliali che rivestono l’intestino tenue generando unità monosaccaridiche libere, che vengono successivamente trasportate dentro le cellule che rivestono l’intestino, da cui passano nel sangue per raggiungere infine il fegato per essere incanalata nella via glicolitica come precedentemente spiegato.

Nella figura sotto riportata si riassumono le vie che incanalano gli esosi, i disaccaridi e i polisaccaridi nella via centrale glicolitica.

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Le vie secondarie di ossidazione del glucosio.

Nei tessuti degli animali, la maggior parte del glucosio che viene consumato è catalizzata attraverso la via glicolitica fino a piruvato; il piruvatoi a sua volta viene ossidato nel ciclo dell’acido citrico e la funzione principale del catabolismo del glucosio attraverso queste vie è la produzione di ATP.

Vi sono però altre vie che, partendo dal glucosio, portano alla formazione di prodotti specializzati necessari alla cellula; due di queste vie producono pentosi fosfato e acidi uronico e ascorbico.

La via dei pentosi fosfato.

Chiamata anche via del fosfogluconato, produce NADPH e ribosio-5-fosfato; nei mammiferi questa funzione è particolarmente importante nei tessuti in cui sono attive le biosintesi degli acidi grassi e degli steroli da precursori semplici, in particolare la ghiandola mammaria, il tessuto adiposo, la corteccia surrenale e il fegato.

Una seconda funzione della via del pentosio fosfato è quella di generare pentosi essenziali, il particolare ribosio, usati nella biosintesi degli acidi nucleici.

Su questo argomento si ritornerà nei dettagli nella descrizione della biosintesi dei lipidi e nella biosintesi degli acidi nucleici; nella figura sotto riportata vengono illustrate le reazioni ossidative della via del pentosio fosfato.

la prima reazione della via del pentosio fosfato è la deidrogenazione enzimatica del glucosio-6-fosfato deidrogenasi, formando 6-fosfoglucono-d-lattone, un estere intramolecolare, che è poi idrolizzato a 6-fosfogluconato da una lattonasi specifica.

Il NADP+ è l’accettatore degli elettroni e l’equilibrio complessivo è spostato nella direzione della formazione del NADPH.

Nella tappa successiva il 6-fosfogluconato va incontro a una deidrogenazione e una decarbossilazione da parte della 6-fosfogluconato-deidrogenasi generando il chetopentosio D-ribulosio-5-fosfato, una reazione che produce una seconda molecola di NADPH.

La fosfopentosio isomerasi converte poi il ribulosio-5-fosfato nell’isomero aldosio D-robosio-5-fosfato; in alcuni tessuti, la via del pentosio fosfato termina a questo punto e la sua equazione complessiva può essere scritta come:

Glucosio-6-fosfato + 2 NADP+ ®

® ribosio-5-fosfato + CO2 + 2 NADPH + 2 H+

il risultato netto è la produzione di NADPH necessario per le reazioni di biosintesi e la produzione di ribosio-5-fosfato, un precursore della sintesi dei nucleotidi.

I tessuti che richiedono principalmente NADPH invece di ribosio-5-fosfato, i pentosi fosfato vengono riciclati a glucosio-6-fosfato mediante una serie di reazioni che saranno descritte dettagliatamente nella biosintesi dei carboidrati.

Un’altra via secondaria del glucosio porta alla formazione di due prodotti specializzati: il D-glucuronato, importante nella detossificazione e nell’escrezione di composti organici estranei, e l’acido ascorbico o vitamina C.

Anche se la quantità di glucosio utilizzato in questa via secondaria è molto piccola se confrontata con quella consumata dalla via glicolitica, i suoi prodotti sono di vitale importanza per il nostro organismo.

Il D-glucuronato è un intermedio della conversione del D-glucosio in acido ascorbico (vedi figura sotto riportata); mediante riduzione di NADPH viene trasformato nell’acido a 6 atomi di carbonio L-gulonato, che viene poi convertito nel suo lattone.

Il gulonolattone subisce una ulteriore deidrogenazione da parte della flavoproteina gulunolattone ossidasi formando acido L-ascorbico.

Alcune specie animali. Compresse gli uomini, i criceti, le scimmie e qualche uccello e qualche pesce , mancano dell’enzima gluconato ossidasi e non sono in grado di sintetizzare l’acido ascorbico, ne consegue che queste specie devono attingere questo composto dalla dieta la cui mancanza è la conseguenza dello scorbuto.

Si rimette la descrizione della via secondaria del metabolismo del glucosio attraverso il D-glucuronato.

Il ciclo dell’acido citrico.

Nella descrizione del ciclo dell’acido citrico si prende in considerazione non la fermentazione anaerobica, che porta alla formazione di lattato, etanolo, ecc., ma l’ossidazione relativa alla respirazione cellulare in grado di ossidare il glucosio a CO2 e H2O: la respirazione cellulare.

La respirazione cellulare ha luogo in tre fasi principali:

  1. nella prima fase le molecole delle sostanze nutrienti organiche, glucosio, acidi grassi e qualche aminoacido, sono ossidate fino a formare frammenti a due atomi di carbonio e cioè il gruppo acetilico dell’acetil-coenzima-A.
  2. nella seconda fase, questi gruppi acetilici sono immessi nel ciclo dell’acido citrico, in cui vengono ossidati enzimaticamente a CO2; l’energia rilasciata dall’ossidazione viene conservata riducendo contemporaneamente i trasportatori di elettroni NAD+ e FAD rispettivamente a NADH e FADH2.
  3. Nella terza fase della respirazione, i cofattori ridotti sono a loro volta ossidati liberando protoni (H+) ed elettroni; gli elettroni sono trasferiti lungo una catena di molecole di trasportatori di elettroni, nota come catena respiratoria, all’ossigeno, che si riduce formando acqua.

Durante questo processo di trasferimento degli elettroni, viene rilasciata molta energia che è poi convertita in ATP, in un processo chiamato fosforilazione ossidativa che verrà discussa dettagliatamente nel paragrafo della fosforilazione.

Nella figura sotto riportata viene illustrato il catabolismo delle proteine, grassi e carboidrati secondo le tre fasi sopra descritte.

Produzione di acetato.

Al meccanismo di questa reazione partecipano cinque cofattori, tutti sono coenzimi derivati da vitamine; il complesso della piruvato deidrogenasi è il prototipo di altri due complessi enzimatici importanti discussi nel capitolo dell’ossidazione degli aminoacidi.

La reazione complessiva catalizzata dal complesso della piruvato deidrogenasi è la decarbossilazione ossidativa, un processo di ossidazione irreversibile in cui il gruppo carbossilico viene rimosso dal piruvato sotto forma di una molecola di CO2 e i due atomi di carbonio che restano diventano il gruppo actilico legato al coenzima A.

La deidrogenazione e decarbossilazione del piruvato ad acetil-CoA coinvolge l’azione sequenziale di tre enzimi diversi e di cinque gruppo prostetici o coenzimi; tiamina pirofosfato (TPP), flavinadenin dinucleotide (FAD), coenzima A (CoA), nicodinamide adenin dinucleotide (NAD) e lipoato.

Ben quattro vitamine sono elementi essenziali di questo sistema: la tiamina (per la TPP), la riboflavina (per il FAD), la niacina (per il NAD) e il pantotenato (per il coenzima A).

Il pantotenato, presente in tutti gli organismi viventi, è un copmponente esenziale del Coenzima A, che ha un gruppo reattivo tiolico (-SH) essenziale per la sua funzione di trasportatore di gruppi acilici in un certo numero di reazioni metaboliche; i gruppi acilici formano tioesteri, quando si legano al gruppo tiolico del Coenzima A. vedi figura sotto riportata.

Il quinto fattore della reazione della piruvato deidrogenasi, il lipoato, ha due gruppi tiolici, entrambi essenziali per la sua funzione di cofattore; nella forma ridotta del lipoato, entrambi gli atomi di zolfo sono presenti sotto forma di gruppi –SH, ma l’ossidazione produce un ponte disolfuro (-S-S-) simile a quello che si genera tra due residui di Cys in una proteina. Vedi figura sotto riportata.

la figura sotto riportata mostra in modo schematico come il complesso della piruvato deidrogenasi porta avanti le cinque reazioni consecutive della decarbossilazione e deidrogenazione del piruvato.

Il destino del piruvato è indicato in rosa.

Nella tappa 1) il piruvato reagisce con la tiamina pirofosfato legata alla piruvato deidrogenasi (E1) andando incontro a una decarbossilazione e formando un derivato idrossietilico.

La piruvato deidrogenasi catalizza anche la tappa 2), in cui si ha il trasferimento di due elettroni e del gruppo acetilico della TPP alla forma ossidata della lipoillisina dell’enzima del nucleo, la diidrolipoil transacetilasi (E2), formando un acetil tioestere del gruppo lipoilico ridotto.

La tappa 3) è una transesterificazione in cui il gruppo –SH del CoA sostituisce il gruppolipoilico completamente ridotto.

Nella tappa 4), la diidrolipil deidrogenasi (E3) catalizza il trasferimento di due atomi di idrogeno dal gruppo lipoilico ridotto di E2 al gruppo prostetico FAD di E3 , ripristinando la forma ossidata della lipoillissina (ombreggiata in giallo).

Nella tappa 5), il FADH2 ridotto sull’enzima E3 trasferisce uno ione idruro al NAD+, formando NADH.

Il complesso enzimatico è ora pronto per un altro ciclo.

E1 : diidrolipoil deidrogenasi; E2 : diidrolipoil transacetilasi; E3 : diidrolipoil deidrogensi.

Reazioni del ciclo dell’acido citrico.

Anche se il ciclo dell’acido citrico è il metabolismo principale per la produzione dell’energia, il suo ruolo non si limita alla conservazione dell’energia chimica; gli intermedi a quattro o cinque atomi di carbonio del ciclo non sono precursori biosintetici per una varietà di composti, per rimpiazzare gli intermedi utilizzati in altri scopi, le cellule possiedono reazioni anaplerotiche (di riempimento).

Vedi figura sotto riportata.

Il ciclo dell’acido citrico è costituito da otto reazioni:

Formazione del citrato: la prima reazione del ciclo è la condensazione dell’Acetil CoA con l’ossalacetato per formare citrato, catalizzata dalla citrato sintasi; vedi figura sotto riportata.

Il citril CoA è un intermedio transitorio; si forma sul sito attivo dell’enzima e va incontro ad una rapida idrolisi che rende CoA libero e citrato, che sono poi rilasciati dal sito attivo.

Quando il citril CoA si è formato sulla superficie dell’enzima, un’altra modificazione conformazionale porta la catena laterale di un residuo di Asp essenziale nella posizione corretta per scindere il tioestere.

Formazione dell’isocitrato attraverso il cis-aconitato: l’enzima aconitasi catalizza la trasformazione reversibile del citrato in isocitrato, mediante la formazione intermedia dell’acido tricarbossilico cis-aconitato, che normalmente non si dissocia dal sito attivo dell’enzima. Vedi figura.

l’aconitasi contiene un centro ferro-zolfo che agisce sia nel legame del substrato al sito attivo che nella catalisi dell’addizione o della rimozione della molecola di acqua.

Il centro ferro-zolfo dell’aconitasi agisce nel legame del substrato e nella catalisi.

Nel gruppo ferro-zolfo, tre residui di Cys dell’enzima legano tre atomi di ferro (in giallo); un quarto atomo di ferro è legato a uno dei gruppi carbossilici del citrato (in blu).

B: rappresenta un residuo basico dell’enzima che aiuta a posizionare il citrato nel sito attivo.

Ossidazione dell’iso citrato ada-chetoglutarato e CO2 : nella tappa successiva l’isocitrato deidrogenasi catalizza la decarbossillazione ossidativa per formare a-chetoglutararto:

Vi sono due forme diverse di isocitrato deidrogenasi, una che richiede NAD+ come accettatore di elettroni e un’altra che utilizza NADP+ ; la reazione c0omplessiva catalizzata dai due isozimi è ovviamente identica.

Ossidazione dell’a-chetoglutarato a succil-CoA e CO2: la tappa successiva è un’altra decarbossilazione ossidativa, in cui l’a-chetoglutarato viene trasformato in succil-CoA e CO2 da parte del complesso dell’a-chetoglutarato deidrogenasi; il NAD+ è l’accettatore finale degli elettroni:

conversione del succil-CoA a succinato:il succil-CoA, come l’acetil-CoA, ha una energia libera fortemente negativa per l’idrolisi del suo legame tioestere; nella tappa successiva del ciclo dell’acido citrico, l’energia rilasciata dalla rottura del legame tioestere viene usata per favorire la sintesi di un legame fosfoanidridico sotto forma di GTP o ATP e il processo porta alla formazione di succinato.

‘enzima che catalizza questa reazione reversibile viene detto succil-CoA sintetasi o succinico tiochinasi; entrambi i nomi suggeriscono la partecipazione alla reazione di un nucleoside trifosfato.

In questa reazione di conservazione dell’energia vi è una fase intermedia in cui la molecola dell’enzima diventa fosforilata a livello del suo residuo di His presente nel sito attivo. Vedi figura.

Il GTP formato dalla succil-CoA sintetasi può donare il suo gruppo fosforico terminale all’ADP per formare ATP, mediante l’azione reversibile dellanucleoside difosfato chinasi:

GTP + ADP GDP+ATP

rG0’ = 0kj/mole.

Quindi il risultato netto dell’attività di entrambi gli isozimi della succil-CoA sintetasi è la conservazione dell’energia sotto forma di ATP.

6) Ossidazione del succinato a fumarato: il succinato formato dal succil-CoA viene ossidato a fumarato da parte della flavoproteina succinato deidrogenasi; che negli Eucarioti, la succinato deidrogenasi è legata saldamente alla membrana interna dei mitocondri ed è il solo enzima del ciclo dell’acido citrico ad essere legato alla membrana:

7) idratazionedel fumarato per produrre malato: l’idratazione reversibile del fumarato a malato è catalizzata dalla fumarasi:

L’enzima è altamente stereospecifico e catalizza l’idratazione del doppio legame trans del fumarato, ma non agisce sul fumarato.

Ossidazione del malato a ossalacetato: nell’ultima reazione del ciclo dell’acido citrico l’L-malato deidrogenasi NAD-dipendente catalizza l’ossidazione dell’L-malato ad ossalacetato:

Nelle cellule l’ossalacetato viene rimosso continuamente dalla reazione altamente esoergonica della citrato sintasi (vedi figura pag. 70), contribuendo a mantenere estremamente bassa (<10-6 M)la concentrazione dell’ossalacetato e contemporaneamente spingendo la reazione della malato deidrogenasi verso la formazione dell’oassalacetato.

Negli organismi aerobici, il ciclo dell’acido citrico è una via anfibolica; non soltanto agisce nel catabolismo dei carboidrati, degli acidi grassi e degli aminoacidi, ma produce anche precursori per molte vie biosintetiche; vedi figura sotto riportata.

Gli intermedi del ciclo dell’acido citrico vengono rimossi per essere utilizzati come precursori in molte vie biosintetiche formando i prodotti riportati nelle aree ombreggiate.

Sono indicate in rosso quattro vie anplerotiche che riforniscono il ciclo degli intermedi sottratti.

La carbossilazione del piruvato ha bisogno della vitamina biotina, il gruppo prostetico della piruvato carbossilasi.

La biotina ha un ruolo essenziale in molte reazioni di carbossilazione; questa vitamina è un trasportatore specializzato di gruppi di un atomo di carbonio nella forma più ossidata: CO2 ; i gruppi carbossilici si legano alla biotina a livello del suo gruppo ureidico, all’interno del sistema ad anelli della biotina. Vedi figura sotto riportata.

variazione del ciclo dell’acido citrico: ciclo del gliossilato.

Nel ciclo del gliossilato, l’Acetil-CoA si condensa con l’ossalacetato per formare acetato esattamente come nel ciclo dell’acido citrico; la degradazione dell’isocitrato non avviene però attraverso la reazione della isocitrato deidrogenasi, ma mediante la scissione catalizzata dall’enzima isocitrato liasi, che forma succinato e gliossilato, che si condensa con l’acetil-CoA formando malato in una reazione catalizzata dalla malato sintasi.

Il malato viene successivamente ossidato a ossalacetato che può condensarsi con un’altra molecola di Acetil-CoA e iniziare un altro giro del ciclo. Vedi figura sotto riportata.

Il ciclo del gliossilato e la sua relazione con il ciclo dell’acido citrico.

Le reazioni indicate dalle frecce in arancione rappresentano il ciclo del gliossilato e quelle in blu il ciclo dell’acido citrico.

Da notare che il ciclo del gliossilato elimina le due tappe di carbossilazione del ciclodell’acido citrico e che due molecole di AcetilCoa entrano nel ciclo del gliossilato durante ogni giro, mentre nel ciclo dell’acido citrico entra una sola molecola di Acetil-CoA.

Regolazione dei cicli gliossilato e acido citrico.

L’aspartato trasporta lo scheletro carbonioso dell’ossalacetato dal ciclo dell’acido citrico (nei mitocondri) ai gliossisomi, dove condensa con l’Acetil-CoA derivato dalla demolizione degli acidi grassi.

Il citrato formato viene trasformato in isocitrato dall’aconitasi e quindi scisso dalla isocitrato liasi in gliossilato e succinato; il succinato ritorna ai mitocondri dove rientra nel ciclo dell’acido citrico e viene trasformato in ossalacetato che potrà essere nuovamente asportato (previa conversione in aspartato) ai gliossisomi.

Queste conversioni sono portate avanti da quattro vie metaboliche: la degradazione degli acidi grassi che genera Acetil-CoA (nei gliossisomi); il ciclo del gliossilato (nei gliossisomi); il ciclo dell’acido citrico (nei mitocondri) e la gluconeogenesi ( nel citosol). Vedi figura.

Le reazioni del ciclo del gliossilato (nei gliossisomi) procedono simultaneamente con quelle del ciclo dell’acido citrico (nei mitocondri) e gli intermedi passano attraverso il citosol a questi due compartimenti.

Le reazioni coinvolte nell’ossidazione degli acidi grassi ad Acetil-CoA e la conversione dell’acetato saranno trattate nella biosintesi dei carboidrati.

La spartizione degli intermedi fra queste vie deve essere un processo regolato e coordinato; l’isocitrato è l’intermedio che viene a trovarsi in una posizione cruciale, cioè a un punto di ramificazione fra il ciclo del gliossilato e quello dell’acido citrico. Vedi figura.

La regolazione dell’attività dell’isocitrato deidrogenasi determina la ripartizione dell’isocitrato tra il ciclo del gliossilato e quello dell’acido citrico.

Quando l’isocitrato deidrogenasi vieneinattivata da una fosforilazione (da parte di una proteina chinasi specifica), l’isocitrato viene inviato alle reazioni biosintetiche attraverso il ciclo del gliossilato; quando l’enzima è attivato da una fosforilazione (da parte di una specifica fosfatasi), l’isocitrato entra nel ciclo dell’acido citrico per la produzione di ATP.

Ossidazione degli acidi grassi.

Anche se la funzione biologica dell’ossidazione degli acidi grassi differisce da organismo a organismo, il meccanismo di base è essenzialmente sempre lo stesso e si accentra in quattro tappe, chiamato b-ossidazione, con cui gli acidi grassi sono convertiti in acetil-CoA.

Prima che i trigliceroli ingeriti possano essere assorbiti attraverso la parete intestinale, devono essere convertiti da particelle di grassomacroscopico insolubile in micelle microscopiche finemente disperse.

I sali biliari, come l’acidi taurocolico:

sono sintetizzati dal colesterolo nel fegato, conservati nella colicisti e rilasciati nell’intestino tenue dopo un pasto ricco di grassi.

Dalle numerosi ricerche presso il dipartimento di Biologia dell’ Università degli studi di Tor Vergata Roma è stato rilevato :

Ricerca sulla steatosi epatica del 14/07/2011 (conclusione il Citozim durante l’induzione della steatosi si è rilevato la riduzione dei vacuoli lipidici del 37%

Ricerca del 07/02/2011 con i prodotti Citozeatec, (Incremento di fosfocreatina evidenzia l’aumentata quantità di energia con livelli di ATP costanti.