Basi molecolari della cancerogenesi multifasica
Basi molecolari della cancerogenesi multifasica
Il corpo di un animale opera in un ecosistema i cui singoli membri sono cellule, che si riproducono per divisione cellulare e sono organizzate in complessi collaborativi, ossia i tessuti; molte proteine coinvolte nella riparazione del DNA, nella segnalazione cellulare, nel ciclo cellulare, nella morte cellulare programmata e nell’architettura tissutale, sono state scoperte a causa di anomalie della loro funzione che portano alla proliferazione incontrollata, ad alterazioni genetiche e ad altre caratteristiche di comportamento “antisociale” delle cellule cancerose. Perché si verifichi una trasfromazione neoplastica, sono necessarie svariate alterazioni geniche quali l’aumentata espressione di oncogeni (i quali codificano per i fattori di crescita, recettori per fattori di crescita o per ormoni, trasduttori intracellulari di segnale proliferativo, fattori di trascrizione nucleare e proteine adibite al controllo del ciclo cellulare), inattivazione di geni oncosopressori e delezioni di frammenti di cromosomi. Mutazioni durante la mitosi cellulare si verificano continuamente, ma se i processi di correzione non vengono alterati la riparazione del danno cellulare avviene senza conseguenze e la cellula continua la sua crescita senza produrre neoplasie. È doveroso puntualizzare che uno dei maggiori fattori scatenanti le neoplasie è assolutamente la modaliità di vita dove inquinamento, cibi transgenici, conservanti chimici, pesticidi, fitofarmaci, ecc., che non sono in linea alla nostra omeostasi, danno severi colpi alle memorie biologiche e biochimche del nostra organismo e le alterazioni prodotte sono ascrivibili, appunto, alle neoplasie. Alla fine, tutte le linee delle cellule somatiche sono impegnate a morire: non lasciano progenie e dedicano invece la loro esistenza a supportare le cellule germinali, che sono le sole ad avere possibilità di sopravvivere; questo non è un mistero perché il corpo è un clone e il genoma delle cellule somatiche è lo stesso di quello delle cellule germinali che sono adibite a propagare copie dei propri geni. Perciò ciascuna cellula si comporta in maniera socialamente responsabile, restando a riposo, dividendosi, differenziandosi o morendo in base a ciò che è necessario per il bene dell’organismo; disturbi molcolari che alterano questa armonia significano problemi per l’intera società multicellulare. Una mutazione può dare a una cellula un vantaggio selettivo, permettendole di dividersi più rapidamente delle sue vicine e di diventare fondatore di un clone mutante in crescita; una mutazione che dà origine a questo comportamento “egoista” da parte di singoli membri della multicellularità può mettere in pericolo il futuro di tutta l’organizzazione cellulare. Questi sono gli “ingredienti-base” del cancro: malattia i cui singoli cloni mutanti di cellule iniziano a proliferare a spese dei loro vicini, ma alla fine distruggono l’intera società cellulare. Si può senza dubbio affermare che le cellule neoplastiche derivano da un’unica cellula mutata, che i cicli cellulari sono processi legati ad una serie di eventi biochimici in parte ben conosciuti: la correzione degli errori che portano alle neoplasie non può essere effettuata se non con una precisa e mirata tecnologia biologica che tenga conto dei cicli vitali delle cellule.
Carattteristiche generali del ciclo cellulare.
La funzione più basilare del ciclo cellulare è quella di duplicare accuratamente la grande quantità di DNA dei cromosomi e quindi segregare esattamente le copie delle due cellule figlie geneticamente identiche. La duplicazione del DNA avviene durante la fase S, che richiede 10-12 ore e occupa circa la metà dela durata del ciclo cellulare di una tipica cellula di mammifero; dopo la fase S la segregazione dei cromosomi e la divisione cellulare avvengono nella fase M, che richiede molto meno tempo (meno di un ora in una cellula di mammifero), la cellula viene quindi pinzata in due dalla divisione citoplasmatica, o citochinesi, e la divisione cellulare è completata (Vedi figura).
Gli eventi di una divisione di una cellula eucariotica. I processi di divisione nucleare (mitosi) e divisione cellulare (citogenesi), chiamati collettivamente fase M, occupano di norma soltanto una piccola frazione del ciclo cellulare; l’altra parte, molto più lunga, del ciclo è nota come interfase. Sono mostrati i cinques stadi della mitosi: un brusco cambiamneto dello stato biochimico della cellula avviene alla trascrizione da metafase ad anafase; una cellula si può fermare in metafase prima di questo punto di transizione, ma una volta che questo punto è stato sorpassato, la cellula va avanti fino alla fine della mitosi e attraverso la citochinesi e quindi fino all’interfase.
La maggior parte delle cellule richiede più tempo per crescere raddoppiare la sua massa di proteine e di organelli che per replicare il suo DNA e dividersi; in parte per concedere più tempo alla crescita, fasi gap extra sono inserite nella maggior parte dei cicli cellulari, come illustrato nella figura sotto riportata.
Le fasi del ciclo cellulare.
La cellula cresce in modo continuo in interfase, che consiste di tre fasi: la replicazione del DNA e confinata alla fase S; G1 è l’intervallo fra la fase M e la fase S.
Mentre G2 è l’intervallo fra la fase S e la fase M; nella fase M il nucleo e quindi il citoplasam si dividono.
Nella maggior parte delle cellule ci sono diversi punti nel ciclo cellulare, chiamati punti di controllo, al cui livello il ciclo può essere arrestato se gli eventi precedenti non sono stati completatati (Vedi figura sotto riportata).
Punti di controllo e sistema di controllo del ciclo cellulare.
Informazioni sul completamento degli eventi del ciclo cellulare, oltre che segnali provenienti dall’ambiente, possono provocare l’arresto del ciclo da parte del sistema di controllo in corrispondenza di punti di controllo specifici.
I puntri di controllo più evidenti si trovano nelle posizioni marcate con ricuadri gialli.
L’ingresso in mitosi è impedito, per esempio, quando la replicazione del DNA non è completa e la separazione dei cromosomi in mitosi è ritardata se qualche cromosoma non è attaccato in modo appropriato al fuso mitotico. Al cuore del sistema di controllo del ciclo cellulare sta una famiglia di proteine, note come “kinasi dipendenti da ciclina” (CdK); l’attività di queste kinasi aumenta o diminuisce man mano che la cellula progredisce attraverso il ciclo; le oscillazioni portano direttamente a cambiamenti ciclici nella fosforilazione di proteine intracellulari che iniziano o regolano gli eventi principali del ciclo cellulare (la replicazione del DNA, la mitosi e la citocinesi). Un aumento dell’attività di CdK all’inizio della mitosi, per esempio, porta ad una aumentata fosforilazione di proteine che controllano la condensazione dei cromosomi, la demolizione dell’involucro nucleare e l’assemblaggio del fuso.
Ci sono quattro classi di cicline; tre di queste classi sono necessarie in tutte le cellule eucariotiche:
- le cicline G1/S, legano CdK alla fine di G1 e impegnano la cellula nella replicazione di DNA.
- le cicline S, legano CdK durante la fase S e sono necessarie per l’inizio della replicazione del DNA.
- le cicline M, promuovono gli eventi della mitosi.
- le cicline G1, aiuta a promuovere il passaggio attraverso Start o attraverso il punto di restrizione alla fine di G1
Il controllo del ciclo cellulare dipende in modo cruciale da almeno due complessi enzimatici che agiscono in tempi diversi del ciclo, provocando la proteolisi di proteine chiave del sistema di controllo del ciclo cellulare e quidi inattivandole. La cosa più notevole è che i complessi ciclina-Cdk sono inattivate da cicline a certi stadi del ciclo cellulare; questa distruzione delle cicline avviene tramite un meccanismo dipendente da ubiquitina, come quello coinvolto nella proteolisi di molte altre proteine intracellulari. L’apparato finale della distruzione negli eucarioti è il proteosoma, una proteasi abbondante, ATP- dipendente, che costituisce quasi l’1% delle proteine cellulari; ciascun proteosoma consiste in un cilindro cavo centrale (il nucleo del proteosoma 20S) formato da subunità proteiche multiple che si assemblano come una pila cilindrica di quattro anelli eptamerici. Ciascuna estremità del cilindro è normalmente associata con un grande complesso proteico (il cappuccio 19S) che contiene approssimativamente circa 20 polipeptidi diversi; i cappucci agiscono da cancelli regolatori all’entrata della camera proteolitica interna, e sono anche responsabili dell’attacco di una proteina substrato diretta al proteosoma. Con poche eccezioni, i proteosomi agiscono su proteine che sono state marcate in modo specifico per la distruzione dall’attacco covalente di coppie multiple di una piccola proteina chiamata ubiquitina, essa si trova nelle cellule libera o unita covalentemente ad una enorme varietà di proteine intracellulari (Vedi figura sotto riportata).
L’ubiquitina è preparata per la coniugazione ad altre proteine dall’enzima attivatore dell’ubiquitina dipendente da ATP (E1), che crea una ubiquitina attivata che viene trasferita ad uno di una serie di enzimi che coniugano l’ubiquitina (E2) Gli enzimi E2 agiscono in coniugazione con proteine accessorie 8E3); nel complesso E2-E3 chiamato ubiquitina-ligasi, la componente E3 si lega a segnali specifici di degradazione nelle proteine substrato, aiutando E2 a formare una catena multiubiquitina unita ad una lisina specifica della proteina substrato. In questa catena il residuo C-terminale di ciascuna ubiquitina è legato ad una lisina specifica della molecola di ubiquitina che la precede, producendo una serie lineare di coniugati ubiquitina-ubiquitina. È questa catena multiubiquitina su una proteina bersaglio che è riconosciuta da un recettore specifico del proteosoma. (Vedi figura sotto riportata).
Ci sono circa 30 enzimi E2 strutturalmente simili ma distinti nei mammiferi e centinaia di proteine E3 diverse che formano complessi con specifici enzimi E2; ubiquitina ligasi distinte riconoscono segnali di degradazione diversi e perciò marcano per la degrdazione serie diverse di proteine intracellulare che portano questi segnali (Vedi figura).
Proteine denaturate o comunque ripiegate male, oltre a proteine che che contengono amminoacidi ossidati a o anormali, sono distrutte perché presentano sulle superfici sequenze amminoacidiche o motivi conformazionali che sono riconosciute come segnali di degradazione da una serie di molecole E3 nel sistema ubiquitina- proteosomi. La via proteolitica descritta è in grado di distinguere fra le proteine completate che hanno conformazioni sbagliate e i molti polipeptidi in crescita su ribosomi (oltre ai polipeptidi appena rilasciati dai ribosomi) che non hanno ancora raggiunto la loro conformazione ripiegata normale. Il livello finale di ciascuna proteina in una cellula eucariotica dipende dall’efficienza di ciascun passaggio illustrato nella figura sotto riportata.
La produzione di una proteina da parte di una cellula eucariotica.
Il livello finale di ciscuna proteina in una cellula eucariotica dipende dall’efficienza di ciascun passaggio raffigurato.
Per comprendere appieno le modalità di intervento dei prodotti biochimici (Texidrofolico, Nicotinamide e Propulzym), è necessario conoscere i processi che avvengono nelle odierne cellule viventi originate nel corso dell’ evoluzione. Dalla nostra conoscenza degli organismi attuali e delle molecole che contengono, sembra probabile che lo sviluppo dei meccanismi direttamente autocatalitici, fondamentali per i sistemi viventi, sia iniziato con l’evoluzione di famiglie di molecole che potevano catalizzare la propria replicazione. La maggior parte delle cellule specializzate di un organismo multicellulare è capace di alterare il suo schema di espressione genica in risposta a segnali extracellulari. Come espresso nella figura ci sono molti passaggi della via che porta dal DNA alle proteine e in linea di principio tutte possono essere regolate in questo modo:
- controllando quando e quanto spesso un dato gene è trascritto (controllo trascrizionale).
- controllando lo splicing o altre modificazioni dell’RNA (controllo delle modificazioni dell’RNA).
- scegliendo quali mRNA nel citosol devono essere tradotti dai ribosomi (controllo del trasporto e della localizzazione dell’mRNA).
- destabilizzando selettivamente determinate molecole di mRNA nel citoplasama (controllo traduzionale).
- destabilizzando selettivamente determinate molecole di mRNA nel citoplasma (controllo della degradazione dell’mRNA).
- attivando, inattivando, degradando o compartimentalizzando selettivamente proteine specifiche dopo la loro produzione (controllo dell’attività delle proteine). Vedi figura sotto riportata.
Sei passaggi di controllo dell’espressione genica negli eucarioti.
Per la maggior parte dei geni i controlli trascrizioni sono della massima importanza, e di tutti i punti di controllo illustrati nella figura, soltanto il controllo trascrizionale assicura che la cellula non sintetizzi intermedi superflui. Le proteine che regolano i geni devono riconoscere sequenze nucleotidiche immerse in questa struttura; all’inizio si pensava che queste proteine avessero accesso diretto ai legami idrogeno fra le coppie di basi all’interno della doppia elica per distinguere una sequenza di DNA dall’altra, ma oggi è chiaro che l’esterno della doppia elica è costellato di informnazioni di sequenza che le proteine che regolano i geni possono riconoscere senza dover aprire la doppia elica. Il bordo di ciascuna coppia di basi è esposta alla superficie della doppia elica, presentando uno schema caratteristico di donatori di legami idrogeno, di accettaori di legami idrogeno e di zone idrofobiche riconoscibili dalle proteine sia nella scanaluta secondaria che principale (vedi figura sotto riportata).
Il modo in cui coppie diverse di basi nel DNA possono essere riconosciute dai loro bordi senza la necessità di aprire la doppia elica. Le quattro configurazioni possibili di coppie di basi sono mostrate con i donatori potenziali di legame idrogeno indicati in blu, gli accettatori di legami idrogeno in rosso e i legami idrogeno delle coppie di basi come una serie di linee parallele in rosso.
I gruppi metilicic che formano protuberanze idrofobiche, sono mostrati in giallo e gli atomi di idrogeno che sono attaccati ai carboni perciò non disponibili per la formazione di legami idrogeno sono in bianco.
Ma soltanto nella scanalatura principale gli schemi sono marcatamente diversi per ciascuna della quattro disposizioni di basi; vedi figura sotto riportata.
Un codice di riconoscimento sul DNA.
Il bordo di ciascuna coppia di basi, qui rappresentata come se si guardasse direttamente la scanalatura principale e quella secondaria, contiene uno schema caratteristico dei donatori di idrogeno, di accettatori di legami idrogeno e di gruppi metilici.
Dalla scanalatura principale, ciascuna delle quatro configurazioni di coppie di basi proietta uno schema unico; dalla scanalutura secondaria, invece, gli schemi sono simili per G-C e C-G e per A-T e T-A. Il codice dei colori è lo stesso della figura sopra riportata.
Una proteina che regola i geni riconosce una sequenza specifica di DNA perché la superficie della proteina è complementare in alto grado alle speciali caratteristiche di superficie della doppia elica in quella regione. Nella maggior parte dei casi la proteina stabilisce un gran numero di contatti con il DNA, coinvolgendo legami idrogeno, legami ionici e interazioni idrofobiche; vedi figura sotto riportata.
L’attacco di una proteina che regola i geni della scanalatura principale del DNA.
È mostrato soltanto un singolo contatto; l’interfaccia proteina DNA consisterebbe di norma di 10-20 contatti di questo tipo, che coinvolgono amminoacidi diversi, i quali contribuiscono alla forza dell’interazione proteina-DNA.
Il primo motivo che lega il DNA ad essere riconosciuto è stata l’elica-giro-elica; è costituito da due α eliche connesse da una breve catena estesa di amminoacidi, che costituisce il giro, le due eliche sono tenute ad un angolo fisso, soprattutto mediante interazioni fra le due eliche. Fuori dalla regione elica-giro-elica, la struttura delle varie proteine che contengono questo motivo può variare enormemente; così ciascuna proteina presenta il suo motivo elica-giro-elica in un modo unico, una caratteristica che si pensa incrementi la versatilità del motivo elica-giro-elica aumentando il numero di sequenze di DNA che il motivo può riconoscere (Vedi figura).
Alcune proteine elica-giro-elica che legano il DNA.
Tutte le proteine legano il DNA come dimeri in cui le due coppie dell’elica di riconoscimento (cilindro rosso) sono separate esattamente di un giro dell’elica di DNA (3,4 nm); l’altra eliva del motivo elica-giro-elica è colorata in blu. Il repressore lamda e Cro controllano l’espressione dei geni del batteriografo lambda e il repressore del triptofano e la proteina CAP controllano l’espressione dei geni di E.coli.
Quando le sequenze nucleotidiche di diversi geni selettori omeotici sono state determinate, all’inizio degli anni 80, si scoprì che ognuna conteneva un tratto di 60 amminoacidi che definisce questa classe di proteine e si chiama omeodominio. La struttura di omeodominio attaccato alla sua sequenza spacifica di DNA è
mostrato nella figura sotto.
Un omeodominio legato alla sua sequenza specifica di DNA. Sono mostrate due viste diverse della stessa struttura. A): l’omeodominio è ripiegato in tre α eliche, che sono compattate strettamenbte da interazioni idrofobiche; la parte che contiene le eliche 2 e 3 assomiglia al motivo elica-giro-elica. B): l’elica di riconoscimento (elica 3 rossa) stabilsce contatti importanti con la scanalatura principale del DNA. L’asparagina (Asn) dell’elica 3, per esempio, contatta una adenina; coppie di nucleotidi sono contattate anche nella scanalatura secondaria da un braccio flessibile attaccato all’elica 1.
Il motivo elica-giro-elica è composto soltanto da amminoacidi; un secondo gruppo importante aggiunge uno o più atomi di zinco come componenti strutturali; vedi figure sotto riportate.
Un tipo di proteina a dita di zinco. Questa proteina appartiene alla famiglia Cys- Cys_His-His, che prende nome dagli amminoacidi che compongono lo zinco.
A): disegno schematico della sequenza degli amminoacidi di un dito di zinco di una proteina di rana di questa classe. B): la struttura tridimensionale di questo tipo di dito di zinco è costituita da un foglietto β antiparallelo (amminoacidi da 1 a 10) seguito da un’α elica (amminoacidi da 12 a 24) che legano lo zinco (Cys3, Cys6, His19, His23) tengono saldamente un’estremità dell’α elica ed una estremità del foglietto β
Questo tipo di dito di zinco si trova spesso in un gruppo con ulteriori dita di zinco, disposte uno dopo l’altra così che l’α elica di ciascuna di esse può contattare la scanalatura principale del DNA, formando un tratto quasi continuo di α eliche lungo la scanalatura; in questo modo si costituisce una interazione forte e spcifica DNA- proteina tramite una unità strutturale base ripetuta. Vedi figura sotto riportata.
Attacco al DNA da parte di una proteina a dita di zinco.
A): la struttura di un frammento di una proteina che regla i geni di topo attaccata ad un sito specifico sul DNA; questa proteina riconosce il DNA usando tre dita di zinco Cys-Cys-His-Gis disposte come ripetute dirette.
B): le tre dita hanno sequenze di amminoacidi simili e contattano il DNA in modo simile. Sia in A che in B l’atomo di zinco di ciascun dito è rappresentato da una piccola sfera.
Un altro tipo di dita di zinco si trova nei recettori intracellulari; questo forma un tipo diverso di struttura (simile per alcuni aspetti al motivo elica-giro-elica) in cui le due α eliche sono compattate insieme con atomi di zinco. Come le proteine elica-giro-elica, queste proteine di solito formano dimeri che permettono ad una delle due α eliche di ciascuna subunità di interagire con la scanalatura principale del DNA. Vedi figura sotto riportata.
Un dimero del dominio a dita di zinco della famiglia di recettori intracellulari attaccato alla sua sequenza specifica di DNA. Ciascun dominio a dita di zinco contiene due atomi di Zn (indicati dalle piccole sfere grigie): uno stabilizza l’elica di riconoscimento del DNA (mostrata in marrone in una subunità e in rosso nell’altra), e uno stabilizza un’ansa (mostrata in viola) coinvolta nella
formazione del dimero. Ciascun atomo di zinco è coordinato da quattro residui di cisteina spaziati in modo appropriato; come le proteine elica-giro-elica, le due eliche di riconoscimento del dimero sono tenute separate da una distanza che cosrrisponde ad un giro della doppia elica del DNA. L’esempio specifico rappresentato è un frammento del recettore dei glucocorticoidi, che è la proteina tramite la quale le cellule rilevano e rispondono trasacrizionalmente gli ormoni glucocorticoidi prodotti nella ghiamdola surrenale in risposta a uno stress.
Molte proteine che regolano i geni riconoscono il DNA come omeodimeri e di solito la proteina responsabile della dimerizzazione è distinta da quella che è responsabile dell’attacco al DNA; un motivo però combina queste due funzioni e si chiama motivo a cerniera lampo di leucina; vedi figura sotto riportata.
Un dimero a cierniera lampo di leucina legato al DNA.
Due domini ad α elica che legano il DNA (in basso) dimerizzano tramite due regioni di α elica a cerniera lampo di leucina (in alto) per formare una struttura a Y rovesciata; ciascun braccio della Y è formato da una singola α elica, una di ciascun monomero, che media l’attacco d una sequenza specifica di DNA nella scanalatura principale del DNA.
Ciascuna α elica si lega ad una metà di una struttura simmetrica di DNA; la struttura mostrata è quella del lievito Gcn4, che regola la trascrizione in risposta alla disponibilità di amminoacidi nell’ambiente.
L’etrodimerizzazione è un esempio di controllo combinatorio, in cui coimbinazioni di proteine diverse, enon singole proteine, controllano un processo cellulare ed è uno dei maccanismi usati dalle cellule eucariotiche per controllare l’espressione dei geni e si verfica in una grande varietà diversa di geni di proteine che
regolano i geni. Vedi figura sotto riportata.
Un etero dimero composto da due proteine a omeodominio legate al suo sito di riconoscimento sul DNA. L’elica 4 gialla della proteina a destra (Matα2) non è stratturata in assenza della proteina a sinistra (Mata1) e forma un elica soltanto in seguito a eterodimerizzazione. La sequenza di DNA è così riconosciuta congiuntamente da entrambe le proteine; queste due proteine sono di un lievito gemmante, in cui l’eterodimero specifica un tipo cellulare particolare.
Un altro motivo importante che lega il DNA, correlata alla cerniera lampo di leucina, è il motivo elica-ansa-elica (HLH), esso consiste di una breve α elica connessa da un ansa ad una seconda α elica più lunga, come illustrato nella figura sotto riportata.
Il funzionamento degli interuttori genetici.
La maggior parte delle proteine regolatrici che attivano la trascrizione, cioè la maggior parte delle proteine che attivano i geni, ha una coinfigurazione molecolare che consiste di almeno due domini distinti: un dominio riconosce, di solito, una sequenza regolatrice specifica di DNA, un secondo dominio, chiamato talvolta, dominio di attivazione, accelera la velocità di inizio della trascrizione, come illustrato nella figura sotto riportata.
A): una proteina attivatrice legata in prossimità di un promotore attrae il complesso dell’oloenzima; secondo questo modello, l’oloenzima (che contiene più di 100 subunità proteiche) è portato al promotore separatamente dai fattori generali di trascrizione TFIID e TFIIA. Il DNA spezzato in questa enelle figure successive indica che questa porzione della molecola di DNA può essere molto lunga e di lunghezza variabile.
B): disegno schematico di un esperimento in vivo il cui risultato supporta il modello del reclutamento dell’oloenzima per le proteine attivatrici; il dominio che lega il DNA di una proteina è stato fuso direttamente ad un componente proteico del mediatore, un complesso proteico a 20 subunità che è parte del complesso dell’oloenzima, ma che è facilmente dissociabile dal resto dell’oloenzima.
Quando il sito di legame per la proteina è ibrido ed inserito sperimentalmente vicino ad un promotore, l’inizio della trascrizione è fortemente aumentato; in questo esperimento, il dominio di attivazione dell’attivatore è stato omesso, suggerendo che una frazione importante del dominio di attivazione sia semplicemente quella di interagire con il complesso della RNA polimerasi oloenzima e aiutarne così l’assemblaggio al promotore. La capacità delle proteine attivatrici di reclutare il macchinario di trascrizione sui promotori è stata dimostrata anche direttamente usando immunoprecipitazione della cromatina. Le proteine attivatrici legate al DNA aumentano di norma la velocità di trascrizione fino a 1.000 volte, il che è in accordo con una interazione relativamente debole e non specifica fra l’attivatore e l’oloenzima. Oltre alle loro azioni dirette sull’assemblaggio della RNA polimerasi oloenzima e dei fattori di trascrizione del DNA, le proteine che attivano i geni promuovono anche la trascrizione combinando la struttura della cromatina delle sequenze regolatrici e dei promotori del gene. Molte proteine attivatrici fanno uso di entrambi questi meccanismi legandosi a istone acetil transferasi (HAT), note comunemente come istone acetilasi, e a complessi di rimodellamento della cromatina dipendenti da ATP, reclutandoli perché funzionano sulla cromatina nelle vicinanze. Vedi figura sotto riportata.
Alterazioni locali della struttura della cromatina dirette da proteine attivatrici eucariotiche. L’acetilazione degli istoni e il rimodellamento dei nucleosomi generalmente rendono il DNA compattato in cromatina più accessibile ad altre proteine della cellula, comprese quelle necessarie per la trascrizione.
Inoltre, schemi specifici di modificazione degli istoni aiutano direttamente l’assemblaggio dei fattori generali di trascrizione al promotore (vedi figura sopra riportata). L’inizio della trascrizione e la formazione di una struttura compatta della cromatina possono essere considerate come reazioni di assemblaggio biochimico in competizione; enzimi che aumentano, anche temporaneamente, l’accessibilità del DNA nella cromatina tenderanno a favorire l’inizio della trascrizione.
La sinergia trasacrizionale si osserva sia tra proteine attivatrici diverse legate a monte di un gene che fra molecole multiple dello stesso attivatore legate al DNA; perciò non è difficile vedere come proteine regolatrici multiple, ciascuna legata ad una sequenza regolatrice di DNA diversa, possano controllare la velocità finale di trascrizione di un gene eucariotico. Gli ordini di eventi che portano all’inizio della trascrizione, alivello di un promotore specifico, sono raffigurate nella figura sotto riportata.
L’esempio ben studiato mostrato è un promotore del lievito gemmante S.Cerevisiae. Il complesso di rimodellamento della cromatina e l’istone acetilasi apparentemente si dissociano dal DNA dopo aver agito sequenzialmente. L’ordine del passaggio della via che porta all’inizio della trascrizione sembra essere diverso per promotori diversi. Per esempio, in un caso ben studiato nell’uomo, le istone acetilasi funzionano per prime, seguite dal reclutamento della RNA polimerasi e quindi dal reclutamento del complesso di rimodellamento della cromatina.
Oltre a molecole che bloccano grosse regioni di cromatina, le cellule eucariotiche contengono anche proteine regolatrici che agiscono soltanto localmente per eprimere la trascrizione dei geni vicini. A differenza dei repressori batterici, la maggior parte non compete direttamente con la RNA polimerasi per l’accesso al DNA; piuttosto funziona con una varietà di altri meccanismi, alcuni dei quali sono illustrati nella figiura sotto riportata.
Cinque modi in cui i repressori eucariotici possono operare.
A): proteine attivatrici e repressori competono per il legame alla stessa sequenza regolatrice di DNA.
B): entrambe le protene possono legarsi al DNA, ma il reprerssore si lega al dominio di attivazione della proteina attivatrice impedendole così di svolgere le sue funzioni di attivazione. In una variante di questa strategia il repressore si lega saldamente all’attivatore senza doversi legare direttamente al DNA. C): il repressore interagisce con lo stadio precoce del complesso che si sta assemblando dei fattori generali di trascrizione, bloccando l’ulteriore assemblaggio; alcuni repressori agiscono anche a stadi tardivi dell’inizio della trascrizione, per esempio, impedendo il rilascio della RNA polimerasi dai fattori generali di trascrizione.
D): il repressore recluta un complesso di rimodellamento della cromatina che riporto lo stato dei nucleosomi della regione del promotore alla sua forma pretrascrizionale; certi tipi di complessi di rimodellamento sembrano dedicati a ripristinare lo stato represso dei nucleosomi di un promotore mentre altri (per esempio, quelli reclutati da proteine attivatrici) rendono più accessibili il DNA compattato neo nucleosomi. Tuttavia lo stesso complesso di rimodellamento potrebbe in linea di principio essere usato sia per attivare che reprimere la trascrizione: a seconda della concentrazione di altre proteine nel nucleo, potrebbe essere stabilizzato lo stato rimodellato o quello represso. Secondo questa visione, il complesso di rimodellamento permette semplicemente alla struttura dela
cromatina di cambiare.
E): il repressore attrae un istone deacitilasi al promotore; una deacitilazione locale degli istoni riduce l’affinità di TFIID per il promotore e fa diminuire l’accessibilità al DNA della cromatina interessata.