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Come Bari divenne famosa nel mondo per la biochimica

2023-03-15T14:18:33+01:00

Come Bari divenne famosa nel mondo per la biochimica

Forse nessuna branca della scienza ha avuto nella seconda metà del XX secolo uno sviluppo pari a quello della chimica biologica e della biologia molecolare. Numerose scoperte hanno completamente ridisegnato le nostre conoscenze degli eventi molecolari alla base della vita.

In quel periodo grande sviluppo ha avuto anche la bioenergetica, ovvero lo studio dei complessi meccanismi mediante i quali gli organismi sono in grado di produrre l’energia necessaria per lo svolgimento dei processi vitali. Grazie ad Ernesto Quagliariello e alla sua scuola, alcune delle pagine più importanti della bioenergetica sono state scritte a Bari.

Articolo estratto da:

NUOVA PUGLIA D’ORO Progetto di valorizzazione della memoria storica pugliese

Come Bari divenne famosa nel mondo per la biochimica2023-03-15T14:18:33+01:00

Le molecole della vita

2023-02-10T12:04:04+01:00

Le molecole della vita

Laboratorio di Citologia, Istologia & Oncologia Sperimentale
Relazione esperimenti preliminari del progetto
Link della pubblicazione
“Effetti dei componenti del Citozym della Soc. Citozeatec di Peschiera Borromeo,
sulla crescita cellulare normale e neoplastica”
Responsabili scientifici: Prof. Simone Beninati, Dott. F. Antonelli

Introduzione
Abbiamo focalizzato il nostro studio sulla ricerca del potenziale effetto sinergico, derivante dalla azione dei diversi costituenti del Citozym, i quali agiscono, non su un singolo bersaglio ma, su diversi target e cooperano in un percorso agonista-sinergico per provocare una potente attività farmacologica.

Il concetto di target include enzimi, substrati, proteine e metaboliti, recettori, canali ionici, proteine di trasporto, DNA / RNA, ribosomi, anticorpi monoclonali, meccanismi fisico-chimici e cascate di segnali (1).

Il vantaggio di questa molteplicità di costituenti attivi e delle loro azioni complementari, conferisce al Citozym un’azione delicata, profonda e duratura, rispetto ad un farmaco derivato dalla sintesi chimica, che generalmente consiste in un singolo principio attivo, che avrà un’azione unica, focalizzata e incisiva.
Alcuni componenti del Citozym non hanno effetti farmacologici, ma migliorano la biodisponibilità di altri composti attivi, consentendo così ai composti attivi di essere molto più efficaci in confronto all’azione che manifesterebbero da soli. Questi costituenti, che lavorano in sinergia con altre molecole inattive, sono chiamati “co-effettori”.

Il ruolo di alcuni di questi co-effettori può, ad esempio, aumentare la solubilità in acqua, di altri costituenti attivi, oppure aiutare il loro passaggio attraverso le membrane cellulari a livello della parete intestinale, facilitando così la loro diffusione nel sangue. Altri co-effettori possono anche avere un ruolo protettivo, nei confronti dell’azione metabolica degli enzimi coinvolti durante il percorso delle sostanze attive nel corpo, prima che raggiungano il loro sito di azione. Quindi le sostanze attive (enzimi) non possono essere degradate e manterranno tutta la loro attività.

Grazie allamoltitudine di costituenti, il corollario di effetti sinergici coniugati e variabili, la polivalenza di attività complementari, l’efficacia a basse dosi e l’azione concertata e armoniosa di altri costituenti che li accompagnano, il Citozym agirà in modo dolce, profondo e duraturo e potrebbe avere un’azione regolatoria in aggiunta alla propria azione sintomatica.

Le molecole della vita2023-02-10T12:04:04+01:00

Virus e oncogeni

2023-02-10T12:30:18+01:00

Virus e oncogeni

INFEZIONI VIRALI ED ENZIMOPATIA

PREMESSA
tutte le proteine degli esseri viventi superiori, dalla primaria alla quaternaria, sono costituite da amminoacidi “L ” cioè amminoacidi levogiro. Gli amminoacidi “D” Si trovano nei parassiti: virus, batteri ecc., le difese immunitarie, gli enzimi costituiti da amminoacidi L non hanno le tasche per digerire gli amminoacidi dei parassiti.
Citozeatec utilizza enzimi con amminoacidi L che producono componenti “zuccherini” con strutture levogiro; tali zuccheri (veri trojan) vengono utilizzati dai virus patogeni ecc. e non essendo compatibili, per l’assenza degli enzimi “L” levogiro, si autodistruggono.

Sappiamo che i virus, per completare il loro ciclo vitale, utilizzano enzimi. Gli enzimi sono glicoproteine espresse in modo tipico sulla superficie dei virus, per es. influenzali, e necessarie per la penetrazione del virus stesso all’interno delle vie respiratorie. Di fondamentale importanza per molti microorganismi è l’adesione alle cellule per riuscire a penetrare e potere compiere all’interno della cellula ospite il proprio ciclo replicativo. Nel caso del virus dell’influenza, all’interno di quello che viene comunemente chiamato envelope del virus (rivestimento esterno membranoso, tipico dei virus animali, che ha generalmente origine dalla membrana nucleare o plasmatica della cellula ospite) sono contenuti gli enzimi emoagglutinina e neuraminidasi, per cui i virus si servono degli enzimi per il completamento del loro ciclo vitale. In questo caso parleremo di enzimi patogeni.
La replicazione virale può avvenire in maniera fedele oppure no, cioè può subire delle modificazioni (mutazioni). La loro capacità di mutare è la loro abilità nel sapersi adattare al contesto dell’organismo infettato, potendo cambiare in base alle necessità. Questo determina la resistenza ai trattamenti e presidi terapeutici messi comunemente in atto (terapia antivirale, analgesica, antipiretica, antiinfiammatoria e l’antibioticoterapia), con la conseguenza di effetti collaterali grazie al loro uso cronico e protratto nel tempo.
Invece, da ricerche ed esperienze cliniche possiamo concludere che l’utilizzo dei componenti enzimatici, cioè componenti (sinistròrso) ottenuti dalla sintesi degli enzimi specifici con efficacia assoluta contro patogeni (sinistròrso che destrorso) i prodotti della Citozeatec sono paragonabile ad una comune vite con possibilità di avvitarsi sia a destra che a sinistra. Quello che manca ai farmaci.
I componenti enzimatici quindi impediscono al virus di prendere il controllo della cellula bloccando la sintesi del genoma virale e la progressione del virus nei primi stadi della malattia, con miglioramenti della sintomatologia. Inoltre anche quando la malattia è già conclamata, i componenti sono comunque in grado di agire sui sintomi e sulle manifestazion del virus (es.influenzale).

Gli amminoacidi proteici sono delle molecole biologiche formate da un carbonio centrale che lega quattro sostituenti: un idrogeno, un gruppo carbossilico, un gruppo amminico e una catena laterale R che è la catena variabile. E’ proprio questa catena a determinare le differenze dei vari amminoacidi e quindi le proprietà chimiche e fisiche degli stessi.
Un primo gruppo di amminoacidi è dato dall’amminoacido avente R apolare, un esempio è l’alanina. Questi amminoacidi sono molto particolari perché all’interno delle proteine tendono a disporsi in modo tale da non venire a contatto con l’acqua e le loro catene laterali formano interazioni idrofobiche l’una con le altre, in modo da minimizzare il contatto con l’acqua. Sono inoltre gli amminoacidi che troviamo a livello delle proteine integrali di membrane, nella parte in cui la proteina deve attraversare il doppio strato fosfolipidico, che caratterizza la specificità delle membrane e quindi della cellula.
Un secondo gruppo di amminoacidi è dato dagli amminoacidi avente catena R aromatica, un esempio è la fenilalanina.
Questi amminoacidi vengono utilizzati in vari enzimi e quindi presenti in varie tasche enzimatiche per svolgere funzioni differenti.

Altra categoria:
Amminoacidi avente catena R polare, un esempio è la serina, avente un gruppo ossidrilico che dà la polarità all’amminoacido.
La serina è molto importante sia nelle proteine che negli enzimi perché rappresenta il sito prediletto per la fosforilazione della proteina. La fosforilazione o la defosforilazione di una proteina è molto importante nel processo di regolazione della proteina stessa. Amminoacidi con R carichi positivamente, un esempio è la lisina, questi amminoacidi si trovano nelle tasche enzimatiche di diversi enzimi e solitamente riescono a cedere protoni al substrato.
Grazie a questa cessione si altera la configurazione del substrato e la trasformazione del prodotto.
Infine vi sono amminoacidi con R carichi negativamente, un esempio è l’aspartato, qui il discorso è speculare rispetto ai carichi positivamente, anche amminoacidi come l’aspartato si trovano in diverse tasche enzimatiche e riescono a rimuovere proteine dal substrato, modificandolo e quindi facilitando la trasformazione in prodotto.
Guardando quindi il mondo degli amminoacidi possiamo distinguere gli amminoacidi naturali e non naturali detti anche sintetici che vengono utilizzati in vari settori come alimentare, chimico, farmaceutico ecc.
Nell’ambito dei naturali c’è da fare un’ulteriore distinzione tra i proteici ca. 20 che sono quelli ai fini biologici e i non proteici che sono maggiore di 500 a mio avviso siamo nell’ambito degli amminoacidi modificati geneticamente (OGM), gli esseri umani non dispongono enzimi per trasformare OGM.
Sempre nell’ ambito dei proteici poi ci sono gli essenziali e i non essenziali.
Va notato che gli amminoacidi sono delle vere molecole chirali perché c’è un carbonio centrale e quattro sostituenti intorno, in realtà questo vale per tutti gli amminoacidi proteici fatta eccezione per la glicina.
La glicina presenta nella catena R un atomo di idrogeno e quindi non abbiamo 4 sostituenti diversi ma 3 perché esiste già l’idrogeno alla terza posizione.
Questo ci fa capire che la glicina potrebbe essere l’anello debole della catena amminoacidica che, se alterata, subisce trasformazioni
tali da modificare lo stato fisico chimico della funzionalità, sia dell’enzima che della proteina e di conseguenza la trasformazione della genetica dell’essere vivente, animale o vegetale.
Questo ci deve far riflettere sull’utilizzo dei farmaci che potrebbero modificare profondamente l’esistenza di una cellula.
Gli amminoacidi naturali appartengono alla serie L (levogiro) piuttosto che alla serie D (destrogiro). La cosa fondamentale è che abbiano tutti la stessa configurazione perché così possono costruire proteine con una struttura ben definita. Infatti, basta un solo amminoacido D in un punto critico di una proteina perché questa assuma una conformazione errata e diventi inattiva.
In natura gli amminoacidi D si incontrano molto raramente. I batteri, per esempio, utilizzano D-alanina per costruire un breve tratto della loro parete cellulare chiamata paptidoglicano, ma non sintetizzano D-alanina in modo diretto, la ottengono isomerizzando la normale

L-alanina.

Nelle proteine sono presenti 20 diversi amminoacidi più alcuni amminoacidi speciali (selenocisteina e selenometionina) sintetizzati solo per realizzare alcuni enzimi anti radicali liberi.

LA BIOGENESI NEGLI ENZIMI
Confermata dai “mattoni” della vita scoperti nel meteorite
caduto il 28 Settembre 1969 a Murchison – Australia

Gli enzimi sono formati da amminoacidi, grazie al legame di questi amminoacidi il legame si chiama legame peptidico.

Nel legame peptidico il gruppo carbossilico di un amminoacido
ed il gruppo amminico di un altro amminoacido
(di formula generica NH2CHRCOOH),
si legano fra di loro con l’eliminazione di una molecola d’acqua,
la molecola che si viene a formare è un legame di tipo amminico,
in quanto il gruppo carbossilico dell’amminoacido perde il gruppo OH

e lega l’azoto (N), si è quindi formato un residuo carbossilico ma con una catena amminica.

Se si analizza la disposizione degli elettroni nel legame peptidico, si riscontra che il carbonio ha un doppio legame con l’ossigeno e quindi due doppietti e l’ossigeno libero. L’azoto (N) ha tre legami e un ulteriore doppietto, ha una configurazione elettronica con due elettroni nell’ orbitale “S” e tre elettroni nell’ orbitale “P”. Nulla vieta all’ azoto di ribaltare i suoi doppietti elettronici e quindi utilizzarli per legare il carbonio, costringendolo a sostituire il doppietto elettronico dell’ossigeno (O,). Il carbonio (C) non può formare cinque legami, se forma un doppio legame con l’azoto lo deve rompere necessariamente dall’ altra parte.
Si viene quindi a formare un intermedio di questo tipo:
l’azoto ha un doppio legame con il carbonio mentre l’ossigeno ha necessariamente un doppietto elettronico in esuberanza; l’azoto avrà quindi una parziale carica positiva e l’ossigeno una parziale carica negativa.
Possiamo quindi affermare che il legame peptidico è un legame in risonanza perchè nulla vieta all’ ossigeno di ribaltare il suo doppietto e quindi tornare al legame precedente.
A uno scienziato italiano spetta il merito di aver per primo iniziate le ricerche in tal campo. Fu infatti Lazzaro Spallanzani che nel 1765 mostrò brillantemente l’azione solvente del succo gastrico sulla carne. Per quanto egli avesse precisati alcuni particolari, non poté tuttavia valutare, a causa dei mezzi rudimentali di cui allora si disponeva e delle scarse cognizioni di chimica del tempo, la vasta portata della sua scoperta.

Meteorite caduto a Murchison

Un esemplare del meteorite esposto al
National Museum of Natural History di Washington

Si tratta di una delle meteoriti più studiate, poichè Contiene oltre 100 diversi amminoacidi, composti organici complessi che sono alla base della vita.

La domanda che sorge spontanea è: considerando che gli amminoacidi sono componenti proteici, e quindi biologici, come mai non si sono disintegrati alle temperature così elevate? E’ come ottenere il possibile dall’ impossibile; quando le condizioni lo permettono riprendono poi a funzionare per la vita di tutti gli esseri viventi (proteine,enzimi ecc.).
Se una proteina è mal ripiegata o se c’è un problema nel ripiegamento della proteina si possono instaurare delle condizioni patologiche anche molto gravi, un esempio è l’encefalopatia spongiforme bovina, comunemente conosciuta come mucca pazza, in cui una proteina un prione cioè una proteina in grado di determinare una patologia, assume un ripiegamento non corretto; questo ripiegamento non corretto induce anche altre proteine sane a ripiegarsi in maniera anomala. Questo ha un effetto dannoso sulle cellule neuronali che iniziano a morire determinando al esame istologico la comparsa di tanti spazi bianchi che danno al vetrino un aspetto a spugna, da cui spongiforme. Tutti quegli spazzi bianchi sono pezzi di tessuto che non ci sono più perché sono pezzi di tessuto che sono andato a morire, la mucca pazza porta ad una degenerazione neuronale progressiva.
L’ultimo grado dell’ organizzazione delle proteine è la struttura quaternaria, che è una struttura che non hanno tutte le proteine, ma soltanto alcune.
La struttura quaternaria si viene ad instaurare nel momento in cui più strutture tridimensionali terziarie interagiscono fra di loro per determinare una sorta di super struttura:
il classico esempio è l’emoglobina.
l’emoglobina è formata da quattro proteine diverse ognuna per la propria struttura terziaria che interagiscono fra di loro formando una super struttura che è quella quaternaria.
In questa ottica anche il collagene è una super struttura quaternaria che è data da proteine che si superavvolgono più e più volte su di loro, determinando una struttura che le comprende tutte.
Una proteina può anche perdere la sua struttura tridimensionale, il processo che porta alla perdita della sua tridimensionalità prende il nome di denaturazione.
La denaturazione può avvenire per vari motivi, o per una variazione di PH o per molecole ionizzanti: alfa, beta, neutroni o per farmaci, chemioterapia, radioterapia, radioattività ecc. quello che succede quindi è che l’interazione che garantiva una struttura tridimensionale, come per esempio l’interazione elettrostatica, a causa della tossicità viene meno. Otteniamo quindi la proteina nella sua struttura primaria, senza le interazioni che aveva prima, ciò che è particolare però è che se ad una proteina denaturata vengono forniti componenti enzimatici la proteina riassume esattamente la conformazione tridimensionale che aveva prima.
Questo ci fa capire che quando una proteina fa un ripiegamento non esplora casualmente tutte le combinazioni possibili, ma i componenti enzimatici gli permettono di esplorare una sola conformazione tridimensionale che è poi quella funzionale; questo è il motivo per cui le proteine poi si ripiegano in poco tempo perché come ci insegna il paradosso di Levinthal: se le proteine dovessero esplorare tutte le configurazioni possibili impiegherebbero, per trovare la conformazione giusta, un arco di tempo maggiore dell’ età dell’ Universo, quindi impossibile.

I quattro gruppi sostituenti diversi di ciascun amminoacido possono disporsi nello spazio in due modi diversi, che sono le immagini speculari non sovrapponibili l’uno dell’altro (forme L e D).

le proteine che costituiscono le difese immunitarie gli enzimi ecc. non sono ingrado di fermare i virus costituiti da amminoacidi D, come già detto in precedenza i virus si indirizzeranno verso gli acidi Nucleici in quanto gli Acidi nucleici DNA, RNA , ecc. sono zuccheri cercato dai parassiti.
La Citozeatec nel proprio impianto industriale produce componenti elaborato da enzimi sinistrorso zuccherini paragonato agli zuccheri presenti negli acidi desossiribonucleici capace di rompere gli amminoacidi D dei virus.

Virus e oncogeni2023-02-10T12:30:18+01:00

Infezioni virali ed enzimopatia 02

2023-02-10T11:59:27+01:00

Infezioni virali ed enzimopatia 02

I miei studi nell’ ambito degli amminoacidi proteici (biologici) ed enzimatici mi portano a pensare quanto segue:

I patogeni meno evoluti, per accrescere scelgono gli organi più vulnerabili, gli occhi non essendo vascolarizzati sono privi di difese immunitarie, le uniche difese degli occhi sono gli enzimi lisosomiali ecc.
I virus, batteri ecc. per completare il loro genoma scelgono gli occhi come terreno fertile.
Il vero dramma a mio avviso viene causato dalla rottura degli amminoacidi virali (destrorso) da parte degli enzimi di difesa lisosomiali che non avendo le tasche per digerire gli amminoacidi destrorso per la conformazione sinistrorso (levogiro) rimangono intrappolati con gli amminoacidi destrorsi.

Gli enzimi di difesa dell’occhio iniziano a sintetizzare molecole per i patogeni provocando una vera e propria trasformazione dell’enzima. E’ come avere la guardia del corpo che passa con il nemico.

Unica possibilità quindi è di mettere a disposizione componenti energetici (zuccheri energetici) sinistrorsi capaci di decomporre tutte le strutture destrorse dei patogeni.
Tutto ciò mi porta a comprendere come la malattia ha inizio dagli occhi, turbinati, polmoni ecc.
Le infezioni oculari come la congiuntivite, l’orzaiolo e le infiammazioni delle palpebre ecc. è la dimostrazione di quanto sopra.

Nella normalità sappiamo che i virus, per completare il loro ciclo vitale, utilizzano enzimi. Gli enzimi sono glicoproteine espresse in modo tipico sulla superficie dei virus, per es. influenzali, quindi necessari per la penetrazione del virus stesso all’interno delle vie respiratorie.

Di fondamentale importanza per molti microorganismi è l’adesione alle cellule per riuscire a penetrare e poter compiere all’interno della cellula ospite il proprio ciclo replicativo. Nel caso del Rabdovirus, virus dell’influenza, la caratteristica di questa classe di virus è di trascrivere 5 mRNA monocistronici del suo RNA genomico.

La replicazione virale può avvenire in maniera fedele oppure no, cioè può subire delle modificazioni (mutazioni). La loro capacità di mutare è la loro abilità nel sapersi adattare al contesto dell’organismo infettato, potendo cambiare in base alle necessità.
Questo determina la resistenza ai trattamenti e presidi terapeutici messi comunemente in atto (terapia antivirale, analgesica, antipiretica, antinfiammatoria e l’antibioticoterapia), con la conseguenza di effetti collaterali grazie al loro uso cronico e protratto nel tempo.

Da ricerche ed esperienze cliniche, possiamo concludere che l’utilizzo dei componenti enzimatici, cioè componenti (sinistrorsi) ottenuti dalla sintesi degli enzimi specifici con efficacia assoluta contro patogeni (sia sinistrorsi che destrorsi) i prodotti Citozeatec sono paragonabili ad una comune vite con possibilità di avvitarsi sia a destra che a sinistra, per il solo motivo che i patogeni per accrescere hanno bisogno di energia .

Come già detto i prodotti Citozeatec sono zuccheri levogiro (sinistrorso) non specifici per i patogeni capaci di decomporre gli amminoacidi dei virus ecc.
In ultima analisi quando veniamo al mondo ogni cellule è costituita da oltre cinquemila enzimi che nel tempo tendono a ridursi, motivo per il quale i bambini al di sotto dei 10 anni hanno una resistenza maggiore rispetto agli adulti verso i coronavirus. Tutto ciò è dimostrato come precedentemente descritto.In ambito oncologico, virologico, malattie neurodegenerative sono state effettuate numerose ricerche con Università di Roma Tor Vergata, del Molise, di Mosca, e di Bruxelles, tutte Pubblicate

CASO CLINICO

INFLUENZA DEL SIG, PAU BAU……..
IL 10-01-2020 tornando dalla RPC accusava tutti i sintomi dell’influenza:brividi, mal di gola ecc, inizia immediatamente la terapia convenzionale (Oseltamivir, Zanamivir e farmaci retroantivirali)

In data 24-01-2020 la situazione si aggrava, con dispnea tosse e debolezza.

Il 23-01-2020 mi rivolgo a medici Svizzeri e Inizio la terapia enzimatica, Citexivir, Probiotic P 450 della Citozeatec Italy

Sintomi:

Brividi, mal di gola, tosse, congestione nasale, catarro;
Dolori articolari e muscolari;
Mal di testa;
Senso di stanchezza e sonnolenza;
Mancanza di appetito;
Diarrea, nausea;
Febbre 39,5 C°;
congiuntivite; Presente

Risposta del trattamento Citozeatec
20-02-2020 Notevoli miglioramenti

Sintomi

Brividi: assenti
Mal di gola: assente
Tosse: assente
Congestione nasale: miglioramento
Catarro: assente
Rantoli: assente
Dolori articolari e muscolari: assente
Mal di testa: assente
Senso di stanchezza e sonnolenza: assente, vigile nelle funzioni
Mancanza di appetito;
alimentazione normale: colazione, pranzo e cena
Diarrea, nausea: assente
Febbre: mattino 36,5C° mezzogiorno 36C° sera 36,8C°
congiuntivite. assente

24.02.2020 Il medico Curante M.D.

Infezioni virali ed enzimopatia 022023-02-10T11:59:27+01:00

La fibromialgia e le cause che la determinano

2023-02-09T09:51:18+01:00

La fibromialgia e le cause che la determinano

Quasi tutte le cellule del corpo umano posseggono organuli coinvolti nel movimento; di questi i più importanti sono i complessi sistemi interattivi dei filamenti di actina e miosina, che in molte cellule servono a mantenere la forma o determinare lenti movimenti come quelli osservati nei movimenti cellulari o nel corso di trasformazioni morfogenetiche che avvengono nei tessuti embrionali.
In altre cellule, specializzate nell’esecuzione dei movimenti più potenti e più rapidi, l’actina, la miosina ed altre proteine, loro associate, sono presenti in alta concentrazione e vengono utilizzate per produrre contrazioni efficienti e lineari.
Tali cellule sono i miociti (cellule muscolari) che quando sono riunite in gruppi distinti, formano i muscoli; i miociti derivano, in varie sedi dell’organismo, dai mioblasti, tali cellule sono di origine mesenchimale  e possono differenziarsi in una di tre possibili linee cellulari per formare: miociti del muscolo scheletrico, del muscolo cardiaco o del muscolo liscio.   Vedi figura.

rappresentazione schematica dei tipi più importanti della muscolatura che illustra le caratteristiche morfologiche più salienti, compreso la loro innervazione (in rosso).

(A) fibre muscolari striate, raccolte in un gruppo di tre elementi (sopra) circondate da cellule satelliti, e fuso muscolare contenente fibre intrafusali (in basso).
(B) muscolatura cardiaca con cellule del miocardio comune (miociti) più piccole, cellule di Purkinje del tessuto di conduzione, più grandi e cellule nodali arrotondate.
(C) Cellule muscolari lisce.

Muscolo scheletrico

Le unità costitutive del muscolo scheletrico sono le fibre muscolari; ognuna di essa ha una struttura allungata cilindrica delimitata da una membrana plasmatica (sarcolemma) che racchiude numerosi nuclei e una quantità relativamente abbondante di citoplasma (sarcoplasma).
Molte fibre muscolari sono raggruppate in fascetti di grandezza e distribuzione diversa e ogni singolo muscolo può essere costituito da molti fascetti.
Una guaina di tessuto connettivo avvolge le differenti parti che costituiscono il muscolo; la delicata rete che circonda e riempie gli spazi esistenti fra le fibre muscolari è indicata nel suo insieme con il termine di endomisio; il perimisio, una guaina di tessuto connettivo più robusto, circonda ogni singolo fascio primario, che è anche in continuità con i setti perimisiali, che penetrano all’interno del muscolo e il tessuto connettivo che si trova esternamente al muscolo.
Si è visto, al microscopio elettronico, che le miofibrille del muscolo scheletrico, sono divise trasversalmente in unità disposte in serie e chiamate sarcomeri, ognuno dei quali, nel muscolo a riposo, è lungo circa 2,5 µm ed è composto da due principali tipi di filamenti, rappresentati dalla miosina, filamenti di circa 12 µm di spessore, dalla actina, filamenti di circa 6 µm di diametro.
I filamenti di miosina corrispondono alla banda A della microscopia ottica; i filamenti di actina sono attaccati per una estremità ad una banda Z e con l’altra si interdigitano con i filamenti di miosina; la banda I corrisponde alle regioni adiacenti di due sarcomeri, dove i filamenti di actina non sono presentati.   Vedi figura.

schema dell’organizzazione dei sarcomeri nel muscolo scheletrico e cardiaco e delle modificazioni che hanno luogo durante l’accorciamento.

Contrazione muscolare e motalità cellulare.

Tutti i muscoli producono movimento con contrazione attiva che si ottiene mediante un sofisticato e potente apparato proteico intracellulare che, in una forma più rozza, genera movimenti in quasi tutte le cellule.
Il più potente di tutti è il muscolo scheletrico, nel quale l’apparato contrattile è così perfettamente organizzato che il suo meccanismo d’azione si riflette esattamente nella sua ultrastruttura.
Per circa 2/3 della fibra muscolare è costituita da miofibrille, lunghi elementi cilindrici del diametro di 1-2 µm che si estendono per l’intera lunghezza della cellula; esse sono le unità contrattili delle cellule muscolari; sono chiaramente visibili al microscopio ottico e le conferiscono un aspetto striato a bande.
Ciascuna delle unità regolarmente ripetute, o sarcomero, è lunga circa 2,5 µm; ogni sarcomero contiene due gruppi di filamenti proteici paralleli che in parte si sovrappongono: i filamenti spessi (lunghi ciascuno circa 1,6 µm e con un diametro di 15 nm), che si estendono da una estremità all’altra della banda A e i filamenti sottili (lunghi ciascuno circa 1 µm e con un diametro di 8 nm) che si estendono attraverso la banda I e in parte entrano nella banda A.

La fibromialgia e le cause che la determinano2023-02-09T09:51:18+01:00

La biogenesi degli enzimi

2023-02-10T11:58:20+01:00

La biogenesi degli enzimi

Confermata dalla presenza di oltre 100 amminoacidi nei “mattoni della vita” del meteorite caduto il 28 Settembre 1969 Murchison – Australia

Gli enzimi sono formati da amminoacidi. Grazie al legame di questi amminoacidi si generano tutte le proteine e quindi la vita.

Allo scienziato italiano Lazzaro Spallanzani SJ (1729-1799), spetta il merito di aver per primo iniziato le ricerche in ambito enzimologico. Su questa scia Pasquale Ferorelli ha formulato i prodotti Citozeatec e così oggi è possibile apprezzare la vasta portata delle scoperte di Spallanzani nell’ambito di malattie oncologiche, virali, diabetiche e neurodegenerative , tutte riconducibili all’unico comune denominatore: enzimopatia.

La ricerca molecolare consente oggi di identificare la funzionalità biochimica del Texidrofolico, un prodotto ottenuto dalla trasformazione dell’ amido di mais mediante conversione enzimatica. Stabilendo le caratteristiche funzionali del prodotto e quindi le attività fisiche e chimiche, la perdita della funzionalità del Texidrofolico può avvenire semplicemente scorporando una sola molecola, questo ci fa capire che le attività degli enzimi sono tutte attività specifiche e sequenziali per la vita di tutti gli esseri viventi.

La biogenesi degli enzimi2023-02-10T11:58:20+01:00

Biochimica dei tumori 06

2023-02-09T14:42:05+01:00

Caratteristiche generali dei modulatori fisiologici bioenergetici

I modulatori fisiologici biodinamici, oggetto della presente relazione, (Citozym, Ergozym, Propulzym, Probiotic P-450), sono preparati con prodotti agricoli assolutamente non transgenici, coltivati su terreni a perfetta sanità biochimica. La rigorosità con cui si preparano le materie prime agricole nasce dal fatto che non sono minimamente ammissibili i prodotti transgenici in quanto gli stessi vengono discriminati dagli enzimi cellulari e non accettati dal metabolismo animale e umano. Riveste notevole importanza, nella coltivazione, l’assenza di diserbanti, pesticidi, fitofarmaci e altri prodotti di sintesi in quanto questi prodotti rilasciano veleni di difficile eliminazione e in netto contrasto con le proteine che si devono produrre.
Per quanto sopra specificato i prodotti biodinamici (denominati modulatori fisiologici) sono derivati da una coordinata attività di processi biochimici su materie prime vegetali rigorosamente biologiche, ottenendo una serie di biomolecole perfettamente coniugate secondo i principi della biochimica umana. Sono pertanto una felice combinazione di pacchetti energetici (ATP-NAD-FAD) in grado di interagire nei processi duplicativi delle cellule, possiedono una gamma di proteine in grado di modulare, partecipando in forma diretta, la sintesi delle proteine promosse sia nella replicazione del DNA che nelle eventuali fasi di correzione degli errori di trascrizione.

Essendo la produzione di questi prodotti effettuata secondo i canoni della biochimica relativa ai vari cicli vitali (ciclo di Krebs, degli acidi grassi, dell’urea, ecc.) si arriva alla costruzione dei “codoni” di amminoacidi e di tutti i componenti energetici necessari ad implementare tali cicli.
Accanto alle proteine di base, amminoacidi e coenzimi, questi prodotti contengono anche le attività di controllo genomico del DNA cellulare, perciò sono in grado di riconoscere anomalie cellulari, siano esse derivate dalla mutazione genetica portata da una errata trascrizione o da una modifica fisiologica operata da virus e retrovirus. La loro azione si esplica pertanto a livello genetico e pur essendo specifica non è distruttiva in quanto le proteine corrette non vengono eliminate ma ricomposte secondo lo schema della fisiologia cellulare sana.

Meccanismi di trasduzione dei segnali.

Si fa riferimento alle mutazioni del gene ras, un proto-oncogene localizzato sul versante interno della membrana plasmatica del cromosoma 12p13; come la maggior parte degli oncogeni che codificano per proteine importanti nel controllo della crescita cellulare, il ras codifica per una proteina associata alle membrane con attività intrinseca del tipo guanosina trifosfato (GTPasi). La mutazione di ras è riscontrata a livelo del codone 12 e coinvolge frequentemente la transizione di una seconda base di guanina ad adenosina (GGTGAT) che altera la capacità intrinseca della GTPasi ad idrolizzare il GTP a GDP. Le proteine ras sono essenziali per la trasduzione dei segnali promuoventi la crescita dei recettori tirosin chinasi delle superficie cellulare alle vie metaboliche intracellulari coinvolte nella differenziazione e nelle proliferazione: pertanto, l’attivazione della ras determina una crescita cellulare incontrollata.

Modello di attivazione del gene ras

Citozym, in associacione a Ergozym, interviene sulla mutazione ras eliminando la transizione di seconda fase (GGT -> GAT) e ripristinando, di conseguenza, la capacità della GTPasi ad idrolizzare il GTP a GDP.
L’oncogene ras rappresenta il miglior esempio di attivazione da mutazione puntiforme; le mutazioni identificate riducono tutte drammaticamente l’attività GTPasica delle proteine ras e la maggior parte di esse coinvolge il codone 12.
Un elevato numero di tumori umani porta mutazioni del ras; ad esempio, il 90% degli adenocarcinomi pancreatici e dei colangiocarcinomi è caratterizzata dalla presenza di mutazioni puntiformi di ras, come pure il 50% dei carcinomi del colon, dell’endometrio e della tiroide, il 30% degli adenocarcinomi del polmone e delle leucemie mieloidi. Sebbene le mutazioni ras siano molto comuni, la loro presenza non è essenziale per il processo di cancerogenesi; la cancerogenesi può avvenire atraverso diverse vie e, tra esse, quelle della mutazione del ras.

Molecole che regolano la trascrizione nucleare ed il ciclo cellulare.

I geni oncosoppressori qui trattati (Rb, , p53, p16 e WT-1) sono localizzati all’interno del nucleo; questi geni in associazione al ras contribuiscono tutti assieme con vari segnali di controllo del ciclo cellulare, cioè fanno parte del sistema di controllo per il passaggio delle cellule attraverso le fasi del ciclo cellulare.
Il gene Rb; Quando le cellule quiescenti vengono stimolate da fattori di crescita, la concentrazione di cicline D ed E si innalza e la conseguente attivazione dei complessi ciclina D/CDK4, D/CDK6 e E/CDK2 portano alla fosforilazione di pRb; la forma ipoerfosforilata di pRb rilascia i fattori di trascrizione E2F, i quali formano degli eterodimeri con la famiglia di proteine DP ed attivano la trascrizione di diversi geni bersaglio. I dati più recenti sulla biochimica di queste attività suggeriscono che il complesso pRb-E2F si leghi attivamente al DNA e inibisca la trascrizione dei geni che controllano la fase S; risulta chiaro che lo stato di fosforilazione di pRb rappresenta un elemento critico per la progressione del ciclo cellulare.
Il gene oncosoppressore p53, localizzato sul braccio corto (p) del cromosoma 17, è probabilmente il gene più alterato nelle neoplasie maligne dell’uomo; la proteina p53 è un fattore trascrizionale (fosfoproteina) che agisce principalmente al passaggio G1 -> S per regolare la crescita cellulare e l’apoptosi mediante l’attivazione dei geni come il p21/WAF1/CIP1 e Bax. L’arresto del ciclo cellulare avviene nella fase G1 tardiva ed è causato dalla trascrizione, mediata da p53 e dell’inibitore delle CDK p21 inibendo in questo modo la fosforilazione di pRb necessaria alla progressione della cellula nella fase S. P53 interviene direttamente in questo processo inducendo la trascrizione di GADD45 (Growth Arrest and DNA Damage), una proteina coinvolta nei processi di riparazione del DNA; se il danno viene riparato con successo, p53 attiva un gene chiamato mdm2, il cui prodotto si lega a sua volta a p53 e lo inattiva, sbloccando in questo modo il ciclo cellulare. Se invece il danno al DNA non può essere riparato in maniera soddisfacente, la p53 induce i geni dell’apoptosi: i geni bax e IGF-BP3 che stanno sotto il controllo di p53 e che eseguono l’ordine di morte che parte da esso.

Riassumendo, p53 è in grado di riconoscere il danno al DNA e di contribuire alla sua riparazione bloccando le cellule in G1 ed attivando geni specifici; una cellula che abbia subito un danno al DNA che non può essere riparata è indirizzata da p53 all’apoptosi. Tenendo conto di queste sue funzioni, nel caso in cui si abbia una perdita omozigote di p53, il danno al DNA non viene riparato e le mutazioni permangono nelle cellule che, continuando a dividersi, iniziano un percorso destinato alla trasformazione maligna. Il gene p16, localizzato sul cromosoma 9p21, codifica per una proteina che lega la chinasi-4-ciclina-dipendente (CDK4), prevenendo la sua interazione con la ciclina D e quindi la formazione del complesso CDK4/D1 interrompendo quindi una via vitale dell’inibizione della crescita cellulare. Il gene WT-1, localizzato sul cromosoma 11p13 è associato allo sviluppo del tumore di Willis; la proteina WT-1 è un regolatore della trascrizione che probabilmente inibisce la trascrizione di geni che promuovono la crescita cellulare. Gli altri meccanismi che regolano la proliferazione cellulare sono:

  • Nelle cellule che sviluppano mutazioni di p16, ciclina D o CDK4, la funzione del gene Rb è altrata anche se il gene Rb non è di per sé mutato.
  • La TGF-β inibisce la proliferazione cellulare e questo effetto è indotto, almeno in parte, dall’attivazione degli inibitori delle CDK p27 e p15; il TGF-β costituisce un’ampia famiglia di polipeptidi ad attività mitotica che determinano una vasta serie di fenomeni biologici come la stimolazione della crescita cellulare e della differenziazione, l’angiogenesi, l’invasione cellulare, la costituzione della mattrice extracellulare e la regolazione delle funzioni immunitarie. I TGF-β agiscono mediante legame con un recettore di superficie ad attività chinasica di tipo serina-treonina, che interagiscono con le SMAD costituendo dei complessi che, entrati nel nucleo, agiscono come attivatori della trascizione.
  • Le proteine trasformanti di diversi virus oncogeni a DNA animali ed umani sembrano agire, in parte, neutralizzando l’attività di inibizione della crescita esercitata da pRb; pertanto la proteina pRb diviene funzionalmente deleta, essendo incapace di legare i fattori di trascrizione E2F, che a loro volta sono liberi di guidare la progressione della cellula nel ciclo cellulare.
  • Altre alterazioni sono state riscontrate a carico del gene per la suscettibilità al carcinoma mammario chiamato BRCA2.

Il destino finale di tutti i segnali, siano essi positivi che negativi, è quello di arrivare al nucleo dove si decie se la cellula si deve dividere o no; in contrasto con l’oncogene ras che aumenta la sua funzione in seguito ad una mutazione attivante, i geni oncosopressori contribuiscono al processo di cancerizzazione mediante la loro inattivazione.

In relazione al disegno riportato si evince che:

  • La forma ipofosforilata di pRb previene l’attivazione dei geni che rispondono ai fattori E2F mediante un vero e proprio sequestro delle proteine E2F; dai più recenti dati risulta che il complesso pRb-E2f si lega attivamente al DNA ed inibisca la trascrizione dei geni che controllano la fase S; da ciò risulta chiaro che lo stato di fosforilazione du pRb rappresenta un elemento critico per la progressione del ciclo cellulare.
  • Se la capacità di regolare i fattori di trascrizione della famiglia E2F è alterata per mutazioni di pRb, i freni che agiscono sul ciclo cellulare vengono rilasciati e la cellula progredisce verso la fase S.
  • Mutazioni a carico di altri geni che controllano la fosforilazione di pRb possono mimare l’effetto della perdita di pRb, così le mutazioni che attivano la ciclina D o la CDK4 favoriscono la proliferazione cellulare facilitando la fosforilazione di pRb.
  • Anche le mutazioni che inattivano inibitori della CDK possono produrre l’entrata in ciclo delle cellula per una indiretta attivazione delle cicline e delle CDK; uno di questi inibitori, codificato dal gene p16 è un bersaglio estremamente comune di delezioni o mutazioni inattivanti che si verificano nei tumori umani.

Un’altra importante considerazione sulla proliferazione neoplastica è che l’attivazione trascrizionale dei geni controllati da p53, quali p21, GADD45 e bax, è di fondamentale importanza per il normale funzionamento del gene p53 stesso.

Angiogenesi dei tumori

L’angiogenesi rappresenta un elemento indispensabile non solo per la continua crescita tumorale, ma anche per la formazione delle metastasi in quanto, senza accesso al sistema vascolare, le cellule tumorali non possono crescere oltre 1-2 mm. Dati clinici sperimentali indicano che nella fase iniziale della crescita tumorale non si ha angiogenesi; i tumori rimangono in situ senza sviluppare nessun suporto vascolare per mesi o anni per poi acquisire, probabilmente per effetto di continue mutazioni genetiche, il fenomeno angiogenetico. Le basi molecolari di questa conversione non sono completamente chiare, ma potrebbero comprendere una aumentata produzione di attori angiogenetici o una perdita di inibitori dell’amgiogenesi. Il gene p53 sembra inibire l’algiogenesi inducendo la sintesi della molecola antiangiogenetica trombospondina-1; a segito dell’inattivazione di p53 conseguente all’acquisizione di mutazioni su entrambi gli alleli i livelli di trombospondina-1 crollano drasticamente, spostando il bilancio a favore dei fattori angiogenetici.

Specificità dei preparati biodinamici Citozeatec

I prodotti di base sono quattro: Citozym, Ergozym, Propulzym Probiotic P-450

Citozym

Quando un danno genetico si affaccia, soprattutto a livello cellulare, si hanno delle trasformazioni che possono cambiare l’insieme delle sequenze amminoacidiche e questi cambiamenti di solito hanno dei nomi e degli effetti spiacevoli: invecchiamento accelerato, insorgenza di condizioni che riducono le risposte immunitarie e fenomeni ascrivibili ad alcune classi di tumori.
Poiché ogni anomalia è la conseguenza di una caduta di energia in quel particolare settore, occorrerebbe intervenire fino a ridosso dei cromosomi mettendo a disposizione tutta una serie di amminoacidi, di precursori enzimatici che danno una spinta alla riattivazione a quelle distonie biologiche siano esse casuali che ereditarie.
Nello stesso modo, quando una proteina di trasporto transmembrana perde la sua capacità di trasporto, occorerebbe mettere a disposizione un patrimonio energetico e proteico che faciliti il riconoscimento dei peptidi prodotti dalla digestione di proteine estranee.
È necessario, pertanto, per correggere un’anomalia, potenziare notevolmente le capacità, per qualche causa indebolite, di naturale riparazione o di modifica di una cellula da parte del sistema (lisosomi, macrofagi, istoni, ecc.), solo così il tumore verrebbe metabolizzato e recuperato nei suoi aminoacidi. È lecito anche affermare che, in luogo di farmaci sintetici, occorre disporre di una combinazione di proteine in grado di interagire nei processi duplicativi delle cellule, le stesse dovrebbero possedere una gamma di apo- e co-enzimi in grado di modulare, partecipando in forma diretta, la sintesi delle proteine promosse sia nella replicazione del DNA che nelle eventuali fasi di correzione degli errori di trascrizione.
Citozym fornisce amminoacidi per la codificazione proteine per il ripiegamento delle immunoglobuline e mediare i processi di riconoscimento cellula-cellula. Citozym fornisce, inoltre, un patrimonio biochimico necessario alle proteine di controllo delle proteine di adesione non allontanate per difetti al gruppo ε-amminico dei residui di lisina che non sono in grado di reagire con la proteina ubiquitina.
Si deve ancora dire che occorre intervenire fino a ridosso dei cromosomi riattivando quelle distonie biologiche casuali o ereditarie: è necessario quindi disporre di una proteina transmembrana simile agli anticorpi, che contiene regioni variabili e costanti, riconoscendo peptidi prodotti dalla digestione di proteine estranee.
Per raggiungere gli scopi prefissi è necessario attivare una proteina che possa essere configurate nell’mRNA al fine di intervenire direttamente apportando patrimonio proteico utile alla ricostruzione cellulare e alla trascrizione del DNA genomico.
Questa serie di proteine devono essere in grado di donare fattori energetici sotto forma di gruppi fosforilati ad alta energia, questi gruppi permetterebbero il riassorbimento di energia in cellule debilitate e compromesse da una anomalia, qualunque essa sia.

Ergozym

in associazione a Citozym interviene sugli introni apportando materiale genetico utile alla correzione delle anomalie di trascrizione genomica. Analogamente alle proteine di trascrizione del DNA che scorrono sulle proteine di membrana, Ergozym fornisce un patrimonio che attiva questi trasporti, siano essi portati dalle pompe sodio-potassio o potassio-calcio, o in quelle adibite al trasporto delle proteine transmembrana.

La particolarità più spiccata di queste proteine si manifesta quando si rende necessario l’intervento di ricodificazione di qualche cromosoma alterato. In altre parole occorre un patrimonio biochimico di amminoacidi del DNA, per collaborare e rafforzare direttamente la stessa ricodificazione annullando quegli errori che sono la causa principale di una disfunzione omeostatica, intervenrndo sugli introni apportando materiale genetico utile alla correzione delle anomalie di trascrizione genomica. La particolarità più spiccata di Ergozym è quella di ricodificare, grazie alla sua configurazione amminoacidica, i cromosomi alterati delle neoplasie e quindi intervenire direttamente annullando gli errori che sono la causa principale delle malattie oncologiche.

Propulzym:

si tratta di una particolare miscela di aminoacidi a corta catena che vengono utilizzati per il bilanciamento energetico coprendo le eventuali altre carenze biochimiche non sono coperte dai primi due prodotti. Data la loro elevata capacità di penetrazione, questi aminoacidi raggiungono velocemente siti di bassa vascolarizzazione, quali i tessuti tumorali.
Un effetto non certamente secondario di Propulzym è la capacità di intervenire sulla stabilità del pH e sulla peristalsi intestinale, apportando un considerevole aiuto all’assimilazione dei cibi e alla evacuazione dei cataboliti intestinali. La sua attività, sempre in sintonia con Citozym ed Ergozym apporta memoria utile per il controllo del colesterolo.

Probiotic P-450:

13 miliardi per dose di microorganismi probiotici vivi, integri e attivi, associati a prebiotici e vitamine essenziali al processo di ricolonizzazione intestinale. Grazie alla tecnologia-Citozeatec una matrice biodinamica appositamente studiata consente:
1. protezione efficace delle cellule probiotiche durante il transito in ambiente acido gastrico e liberazione nell’intestino in condizioni vitali;
2. interazione ubiquitaria a livello gastroenterico ed epatico con la componente P- 450 dei citocromi, finalizzata a normalizzazione della peristalsi.
L’effetto principale della assunzione di Probiotic P-450 nei pazienti oncologici e nelle prevenzione primaria e secondaria di patologie tumorali, sempre in associazione con Citozym, Ergozym e Propulzym nei protocolli specifici, è la ricolonizzazione efficace dell’intestino, la cui compromissione probiotica quanto- qualitativa, oltre a portare a disturbi diretti, è responsabile di molte co-morbidità associate alle malattie tumorali.

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Biochimica dei tumori 05

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Basi molecolari della cancerogenesi multifasica

Il corpo di un animale opera in un ecosistema i cui singoli membri sono cellule, che si riproducono per divisione cellulare e sono organizzate in complessi collaborativi, ossia i tessuti; molte proteine coinvolte nella riparazione del DNA, nella segnalazione cellulare, nel ciclo cellulare, nella morte cellulare programmata e nell’architettura tissutale, sono state scoperte a causa di anomalie della loro funzione che portano alla proliferazione incontrollata, ad alterazioni genetiche e ad altre caratteristiche di comportamento “antisociale” delle cellule cancerose. Perché si verifichi una trasfromazione neoplastica, sono necessarie svariate alterazioni geniche quali l’aumentata espressione di oncogeni (i quali codificano per i fattori di crescita, recettori per fattori di crescita o per ormoni, trasduttori intracellulari di segnale proliferativo, fattori di trascrizione nucleare e proteine adibite al controllo del ciclo cellulare), inattivazione di geni oncosopressori e delezioni di frammenti di cromosomi. Mutazioni durante la mitosi cellulare si verificano continuamente, ma se i processi di correzione non vengono alterati la riparazione del danno cellulare avviene senza conseguenze e la cellula continua la sua crescita senza produrre neoplasie. È doveroso puntualizzare che uno dei maggiori fattori scatenanti le neoplasie è assolutamente la modaliità di vita dove inquinamento, cibi transgenici, conservanti chimici, pesticidi, fitofarmaci, ecc., che non sono in linea alla nostra omeostasi, danno severi colpi alle memorie biologiche e biochimche del nostra organismo e le alterazioni prodotte sono ascrivibili, appunto, alle neoplasie. Alla fine, tutte le linee delle cellule somatiche sono impegnate a morire: non lasciano progenie e dedicano invece la loro esistenza a supportare le cellule germinali, che sono le sole ad avere possibilità di sopravvivere; questo non è un mistero perché il corpo è un clone e il genoma delle cellule somatiche è lo stesso di quello delle cellule germinali che sono adibite a propagare copie dei propri geni. Perciò ciascuna cellula si comporta in maniera socialamente responsabile, restando a riposo, dividendosi, differenziandosi o morendo in base a ciò che è necessario per il bene dell’organismo; disturbi molcolari che alterano questa armonia significano problemi per l’intera società multicellulare. Una mutazione può dare a una cellula un vantaggio selettivo, permettendole di dividersi più rapidamente delle sue vicine e di diventare fondatore di un clone mutante in crescita; una mutazione che dà origine a questo comportamento “egoista” da parte di singoli membri della multicellularità può mettere in pericolo il futuro di tutta l’organizzazione cellulare. Questi sono gli “ingredienti-base” del cancro: malattia i cui singoli cloni mutanti di cellule iniziano a proliferare a spese dei loro vicini, ma alla fine distruggono l’intera società cellulare. Si può senza dubbio affermare che le cellule neoplastiche derivano da un’unica cellula mutata, che i cicli cellulari sono processi legati ad una serie di eventi biochimici in parte ben conosciuti: la correzione degli errori che portano alle neoplasie non può essere effettuata se non con una precisa e mirata tecnologia biologica che tenga conto dei cicli vitali delle cellule.

Carattteristiche generali del ciclo cellulare.

La funzione più basilare del ciclo cellulare è quella di duplicare accuratamente la grande quantità di DNA dei cromosomi e quindi segregare esattamente le copie delle due cellule figlie geneticamente identiche. La duplicazione del DNA avviene durante la fase S, che richiede 10-12 ore e occupa circa la metà dela durata del ciclo cellulare di una tipica cellula di mammifero; dopo la fase S la segregazione dei cromosomi e la divisione cellulare avvengono nella fase M, che richiede molto meno tempo (meno di un ora in una cellula di mammifero), la cellula viene quindi pinzata in due dalla divisione citoplasmatica, o citochinesi, e la divisione cellulare è completata (Vedi figura).

Gli eventi di una divisione di una cellula eucariotica. I processi di divisione nucleare (mitosi) e divisione cellulare (citogenesi), chiamati collettivamente fase M, occupano di norma soltanto una piccola frazione del ciclo cellulare; l’altra parte, molto più lunga, del ciclo è nota come interfase. Sono mostrati i cinques stadi della mitosi: un brusco cambiamneto dello stato biochimico della cellula avviene alla trascrizione da metafase ad anafase; una cellula si può fermare in metafase prima di questo punto di transizione, ma una volta che questo punto è stato sorpassato, la cellula va avanti fino alla fine della mitosi e attraverso la citochinesi e quindi fino all’interfase.

La maggior parte delle cellule richiede più tempo per crescere raddoppiare la sua massa di proteine e di organelli che per replicare il suo DNA e dividersi; in parte per concedere più tempo alla crescita, fasi gap extra sono inserite nella maggior parte dei cicli cellulari, come illustrato nella figura sotto riportata.

Le fasi del ciclo cellulare.
La cellula cresce in modo continuo in interfase, che consiste di tre fasi: la replicazione del DNA e confinata alla fase S; G1 è l’intervallo fra la fase M e la fase S.
Mentre G2 è l’intervallo fra la fase S e la fase M; nella fase M il nucleo e quindi il citoplasam si dividono.

Nella maggior parte delle cellule ci sono diversi punti nel ciclo cellulare, chiamati punti di controllo, al cui livello il ciclo può essere arrestato se gli eventi precedenti non sono stati completatati (Vedi figura sotto riportata).

Punti di controllo e sistema di controllo del ciclo cellulare.
Informazioni sul completamento degli eventi del ciclo cellulare, oltre che segnali provenienti dall’ambiente, possono provocare l’arresto del ciclo da parte del sistema di controllo in corrispondenza di punti di controllo specifici.
I puntri di controllo più evidenti si trovano nelle posizioni marcate con ricuadri gialli.

L’ingresso in mitosi è impedito, per esempio, quando la replicazione del DNA non è completa e la separazione dei cromosomi in mitosi è ritardata se qualche cromosoma non è attaccato in modo appropriato al fuso mitotico. Al cuore del sistema di controllo del ciclo cellulare sta una famiglia di proteine, note come “kinasi dipendenti da ciclina” (CdK); l’attività di queste kinasi aumenta o diminuisce man mano che la cellula progredisce attraverso il ciclo; le oscillazioni portano direttamente a cambiamenti ciclici nella fosforilazione di proteine intracellulari che iniziano o regolano gli eventi principali del ciclo cellulare (la replicazione del DNA, la mitosi e la citocinesi). Un aumento dell’attività di CdK all’inizio della mitosi, per esempio, porta ad una aumentata fosforilazione di proteine che controllano la condensazione dei cromosomi, la demolizione dell’involucro nucleare e l’assemblaggio del fuso.
Ci sono quattro classi di cicline; tre di queste classi sono necessarie in tutte le cellule eucariotiche:

  1. le cicline G1/S, legano CdK alla fine di G1 e impegnano la cellula nella replicazione di DNA.
  2. le cicline S, legano CdK durante la fase S e sono necessarie per l’inizio della replicazione del DNA.
  3. le cicline M, promuovono gli eventi della mitosi.
  4. le cicline G1, aiuta a promuovere il passaggio attraverso Start o attraverso il punto di restrizione alla fine di G1

Il controllo del ciclo cellulare dipende in modo cruciale da almeno due complessi enzimatici che agiscono in tempi diversi del ciclo, provocando la proteolisi di proteine chiave del sistema di controllo del ciclo cellulare e quidi inattivandole. La cosa più notevole è che i complessi ciclina-Cdk sono inattivate da cicline a certi stadi del ciclo cellulare; questa distruzione delle cicline avviene tramite un meccanismo dipendente da ubiquitina, come quello coinvolto nella proteolisi di molte altre proteine intracellulari. L’apparato finale della distruzione negli eucarioti è il proteosoma, una proteasi abbondante, ATP- dipendente, che costituisce quasi l’1% delle proteine cellulari; ciascun proteosoma consiste in un cilindro cavo centrale (il nucleo del proteosoma 20S) formato da subunità proteiche multiple che si assemblano come una pila cilindrica di quattro anelli eptamerici. Ciascuna estremità del cilindro è normalmente associata con un grande complesso proteico (il cappuccio 19S) che contiene approssimativamente circa 20 polipeptidi diversi; i cappucci agiscono da cancelli regolatori all’entrata della camera proteolitica interna, e sono anche responsabili dell’attacco di una proteina substrato diretta al proteosoma. Con poche eccezioni, i proteosomi agiscono su proteine che sono state marcate in modo specifico per la distruzione dall’attacco covalente di coppie multiple di una piccola proteina chiamata ubiquitina, essa si trova nelle cellule libera o unita covalentemente ad una enorme varietà di proteine intracellulari (Vedi figura sotto riportata).

L’ubiquitina è preparata per la coniugazione ad altre proteine dall’enzima attivatore dell’ubiquitina dipendente da ATP (E1), che crea una ubiquitina attivata che viene trasferita ad uno di una serie di enzimi che coniugano l’ubiquitina (E2) Gli enzimi E2 agiscono in coniugazione con proteine accessorie 8E3); nel complesso E2-E3 chiamato ubiquitina-ligasi, la componente E3 si lega a segnali specifici di degradazione nelle proteine substrato, aiutando E2 a formare una catena multiubiquitina unita ad una lisina specifica della proteina substrato. In questa catena il residuo C-terminale di ciascuna ubiquitina è legato ad una lisina specifica della molecola di ubiquitina che la precede, producendo una serie lineare di coniugati ubiquitina-ubiquitina. È questa catena multiubiquitina su una proteina bersaglio che è riconosciuta da un recettore specifico del proteosoma. (Vedi figura sotto riportata).

Ci sono circa 30 enzimi E2 strutturalmente simili ma distinti nei mammiferi e centinaia di proteine E3 diverse che formano complessi con specifici enzimi E2; ubiquitina ligasi distinte riconoscono segnali di degradazione diversi e perciò marcano per la degrdazione serie diverse di proteine intracellulare che portano questi segnali (Vedi figura).

Proteine denaturate o comunque ripiegate male, oltre a proteine che che contengono amminoacidi ossidati a o anormali, sono distrutte perché presentano sulle superfici sequenze amminoacidiche o motivi conformazionali che sono riconosciute come segnali di degradazione da una serie di molecole E3 nel sistema ubiquitina- proteosomi. La via proteolitica descritta è in grado di distinguere fra le proteine completate che hanno conformazioni sbagliate e i molti polipeptidi in crescita su ribosomi (oltre ai polipeptidi appena rilasciati dai ribosomi) che non hanno ancora raggiunto la loro conformazione ripiegata normale. Il livello finale di ciascuna proteina in una cellula eucariotica dipende dall’efficienza di ciascun passaggio illustrato nella figura sotto riportata.

La produzione di una proteina da parte di una cellula eucariotica.
Il livello finale di ciscuna proteina in una cellula eucariotica dipende dall’efficienza di ciascun passaggio raffigurato.

Per comprendere appieno le modalità di intervento dei prodotti biochimici (Texidrofolico, Nicotinamide e Propulzym), è necessario conoscere i processi che avvengono nelle odierne cellule viventi originate nel corso dell’ evoluzione. Dalla nostra conoscenza degli organismi attuali e delle molecole che contengono, sembra probabile che lo sviluppo dei meccanismi direttamente autocatalitici, fondamentali per i sistemi viventi, sia iniziato con l’evoluzione di famiglie di molecole che potevano catalizzare la propria replicazione. La maggior parte delle cellule specializzate di un organismo multicellulare è capace di alterare il suo schema di espressione genica in risposta a segnali extracellulari. Come espresso nella figura ci sono molti passaggi della via che porta dal DNA alle proteine e in linea di principio tutte possono essere regolate in questo modo:

  1. controllando quando e quanto spesso un dato gene è trascritto (controllo trascrizionale).
  2. controllando lo splicing o altre modificazioni dell’RNA (controllo delle modificazioni dell’RNA).
  3. scegliendo quali mRNA nel citosol devono essere tradotti dai ribosomi (controllo del trasporto e della localizzazione dell’mRNA).
  4. destabilizzando selettivamente determinate molecole di mRNA nel citoplasama (controllo traduzionale).
  5. destabilizzando selettivamente determinate molecole di mRNA nel citoplasma (controllo della degradazione dell’mRNA).
  6. attivando, inattivando, degradando o compartimentalizzando selettivamente proteine specifiche dopo la loro produzione (controllo dell’attività delle proteine). Vedi figura sotto riportata.

Sei passaggi di controllo dell’espressione genica negli eucarioti.

Per la maggior parte dei geni i controlli trascrizioni sono della massima importanza, e di tutti i punti di controllo illustrati nella figura, soltanto il controllo trascrizionale assicura che la cellula non sintetizzi intermedi superflui. Le proteine che regolano i geni devono riconoscere sequenze nucleotidiche immerse in questa struttura; all’inizio si pensava che queste proteine avessero accesso diretto ai legami idrogeno fra le coppie di basi all’interno della doppia elica per distinguere una sequenza di DNA dall’altra, ma oggi è chiaro che l’esterno della doppia elica è costellato di informnazioni di sequenza che le proteine che regolano i geni possono riconoscere senza dover aprire la doppia elica. Il bordo di ciascuna coppia di basi è esposta alla superficie della doppia elica, presentando uno schema caratteristico di donatori di legami idrogeno, di accettaori di legami idrogeno e di zone idrofobiche riconoscibili dalle proteine sia nella scanaluta secondaria che principale (vedi figura sotto riportata).

Il modo in cui coppie diverse di basi nel DNA possono essere riconosciute dai loro bordi senza la necessità di aprire la doppia elica. Le quattro configurazioni possibili di coppie di basi sono mostrate con i donatori potenziali di legame idrogeno indicati in blu, gli accettatori di legami idrogeno in rosso e i legami idrogeno delle coppie di basi come una serie di linee parallele in rosso.
I gruppi metilicic che formano protuberanze idrofobiche, sono mostrati in giallo e gli atomi di idrogeno che sono attaccati ai carboni perciò non disponibili per la formazione di legami idrogeno sono in bianco.

Ma soltanto nella scanalatura principale gli schemi sono marcatamente diversi per ciascuna della quattro disposizioni di basi; vedi figura sotto riportata.

Un codice di riconoscimento sul DNA.
Il bordo di ciascuna coppia di basi, qui rappresentata come se si guardasse direttamente la scanalatura principale e quella secondaria, contiene uno schema caratteristico dei donatori di idrogeno, di accettatori di legami idrogeno e di gruppi metilici.
Dalla scanalatura principale, ciascuna delle quatro configurazioni di coppie di basi proietta uno schema unico; dalla scanalutura secondaria, invece, gli schemi sono simili per G-C e C-G e per A-T e T-A. Il codice dei colori è lo stesso della figura sopra riportata.

Una proteina che regola i geni riconosce una sequenza specifica di DNA perché la superficie della proteina è complementare in alto grado alle speciali caratteristiche di superficie della doppia elica in quella regione. Nella maggior parte dei casi la proteina stabilisce un gran numero di contatti con il DNA, coinvolgendo legami idrogeno, legami ionici e interazioni idrofobiche; vedi figura sotto riportata.

L’attacco di una proteina che regola i geni della scanalatura principale del DNA.
È mostrato soltanto un singolo contatto; l’interfaccia proteina DNA consisterebbe di norma di 10-20 contatti di questo tipo, che coinvolgono amminoacidi diversi, i quali contribuiscono alla forza dell’interazione proteina-DNA.

Il primo motivo che lega il DNA ad essere riconosciuto è stata l’elica-giro-elica; è costituito da due α eliche connesse da una breve catena estesa di amminoacidi, che costituisce il giro, le due eliche sono tenute ad un angolo fisso, soprattutto mediante interazioni fra le due eliche. Fuori dalla regione elica-giro-elica, la struttura delle varie proteine che contengono questo motivo può variare enormemente; così ciascuna proteina presenta il suo motivo elica-giro-elica in un modo unico, una caratteristica che si pensa incrementi la versatilità del motivo elica-giro-elica aumentando il numero di sequenze di DNA che il motivo può riconoscere (Vedi figura).

Alcune proteine elica-giro-elica che legano il DNA.
Tutte le proteine legano il DNA come dimeri in cui le due coppie dell’elica di riconoscimento (cilindro rosso) sono separate esattamente di un giro dell’elica di DNA (3,4 nm); l’altra eliva del motivo elica-giro-elica è colorata in blu. Il repressore lamda e Cro controllano l’espressione dei geni del batteriografo lambda e il repressore del triptofano e la proteina CAP controllano l’espressione dei geni di E.coli.

Quando le sequenze nucleotidiche di diversi geni selettori omeotici sono state determinate, all’inizio degli anni 80, si scoprì che ognuna conteneva un tratto di 60 amminoacidi che definisce questa classe di proteine e si chiama omeodominio. La struttura di omeodominio attaccato alla sua sequenza spacifica di DNA è
mostrato nella figura sotto.

Un omeodominio legato alla sua sequenza specifica di DNA. Sono mostrate due viste diverse della stessa struttura. A): l’omeodominio è ripiegato in tre α eliche, che sono compattate strettamenbte da interazioni idrofobiche; la parte che contiene le eliche 2 e 3 assomiglia al motivo elica-giro-elica. B): l’elica di riconoscimento (elica 3 rossa) stabilsce contatti importanti con la scanalatura principale del DNA. L’asparagina (Asn) dell’elica 3, per esempio, contatta una adenina; coppie di nucleotidi sono contattate anche nella scanalatura secondaria da un braccio flessibile attaccato all’elica 1.

Il motivo elica-giro-elica è composto soltanto da amminoacidi; un secondo gruppo importante aggiunge uno o più atomi di zinco come componenti strutturali; vedi figure sotto riportate.

Un tipo di proteina a dita di zinco. Questa proteina appartiene alla famiglia Cys- Cys_His-His, che prende nome dagli amminoacidi che compongono lo zinco.
A): disegno schematico della sequenza degli amminoacidi di un dito di zinco di una proteina di rana di questa classe. B): la struttura tridimensionale di questo tipo di dito di zinco è costituita da un foglietto β antiparallelo (amminoacidi da 1 a 10) seguito da un’α elica (amminoacidi da 12 a 24) che legano lo zinco (Cys3, Cys6, His19, His23) tengono saldamente un’estremità dell’α elica ed una estremità del foglietto β

Questo tipo di dito di zinco si trova spesso in un gruppo con ulteriori dita di zinco, disposte uno dopo l’altra così che l’α elica di ciascuna di esse può contattare la scanalatura principale del DNA, formando un tratto quasi continuo di α eliche lungo la scanalatura; in questo modo si costituisce una interazione forte e spcifica DNA- proteina tramite una unità strutturale base ripetuta. Vedi figura sotto riportata.

Attacco al DNA da parte di una proteina a dita di zinco.
A): la struttura di un frammento di una proteina che regla i geni di topo attaccata ad un sito specifico sul DNA; questa proteina riconosce il DNA usando tre dita di zinco Cys-Cys-His-Gis disposte come ripetute dirette.
B): le tre dita hanno sequenze di amminoacidi simili e contattano il DNA in modo simile. Sia in A che in B l’atomo di zinco di ciascun dito è rappresentato da una piccola sfera.

Un altro tipo di dita di zinco si trova nei recettori intracellulari; questo forma un tipo diverso di struttura (simile per alcuni aspetti al motivo elica-giro-elica) in cui le due α eliche sono compattate insieme con atomi di zinco. Come le proteine elica-giro-elica, queste proteine di solito formano dimeri che permettono ad una delle due α eliche di ciascuna subunità di interagire con la scanalatura principale del DNA. Vedi figura sotto riportata.

Un dimero del dominio a dita di zinco della famiglia di recettori intracellulari attaccato alla sua sequenza specifica di DNA. Ciascun dominio a dita di zinco contiene due atomi di Zn (indicati dalle piccole sfere grigie): uno stabilizza l’elica di riconoscimento del DNA (mostrata in marrone in una subunità e in rosso nell’altra), e uno stabilizza un’ansa (mostrata in viola) coinvolta nella
formazione del dimero. Ciascun atomo di zinco è coordinato da quattro residui di cisteina spaziati in modo appropriato; come le proteine elica-giro-elica, le due eliche di riconoscimento del dimero sono tenute separate da una distanza che cosrrisponde ad un giro della doppia elica del DNA. L’esempio specifico rappresentato è un frammento del recettore dei glucocorticoidi, che è la proteina tramite la quale le cellule rilevano e rispondono trasacrizionalmente gli ormoni glucocorticoidi prodotti nella ghiamdola surrenale in risposta a uno stress.

Molte proteine che regolano i geni riconoscono il DNA come omeodimeri e di solito la proteina responsabile della dimerizzazione è distinta da quella che è responsabile dell’attacco al DNA; un motivo però combina queste due funzioni e si chiama motivo a cerniera lampo di leucina; vedi figura sotto riportata.

Un dimero a cierniera lampo di leucina legato al DNA.
Due domini ad α elica che legano il DNA (in basso) dimerizzano tramite due regioni di α elica a cerniera lampo di leucina (in alto) per formare una struttura a Y rovesciata; ciascun braccio della Y è formato da una singola α elica, una di ciascun monomero, che media l’attacco d una sequenza specifica di DNA nella scanalatura principale del DNA.
Ciascuna α elica si lega ad una metà di una struttura simmetrica di DNA; la struttura mostrata è quella del lievito Gcn4, che regola la trascrizione in risposta alla disponibilità di amminoacidi nell’ambiente.

L’etrodimerizzazione è un esempio di controllo combinatorio, in cui coimbinazioni di proteine diverse, enon singole proteine, controllano un processo cellulare ed è uno dei maccanismi usati dalle cellule eucariotiche per controllare l’espressione dei geni e si verfica in una grande varietà diversa di geni di proteine che
regolano i geni. Vedi figura sotto riportata.

Un etero dimero composto da due proteine a omeodominio legate al suo sito di riconoscimento sul DNA. L’elica 4 gialla della proteina a destra (Matα2) non è stratturata in assenza della proteina a sinistra (Mata1) e forma un elica soltanto in seguito a eterodimerizzazione. La sequenza di DNA è così riconosciuta congiuntamente da entrambe le proteine; queste due proteine sono di un lievito gemmante, in cui l’eterodimero specifica un tipo cellulare particolare.

Un altro motivo importante che lega il DNA, correlata alla cerniera lampo di leucina, è il motivo elica-ansa-elica (HLH), esso consiste di una breve α elica connessa da un ansa ad una seconda α elica più lunga, come illustrato nella figura sotto riportata.

Il funzionamento degli interuttori genetici.

La maggior parte delle proteine regolatrici che attivano la trascrizione, cioè la maggior parte delle proteine che attivano i geni, ha una coinfigurazione molecolare che consiste di almeno due domini distinti: un dominio riconosce, di solito, una sequenza regolatrice specifica di DNA, un secondo dominio, chiamato talvolta, dominio di attivazione, accelera la velocità di inizio della trascrizione, come illustrato nella figura sotto riportata.

A): una proteina attivatrice legata in prossimità di un promotore attrae il complesso dell’oloenzima; secondo questo modello, l’oloenzima (che contiene più di 100 subunità proteiche) è portato al promotore separatamente dai fattori generali di trascrizione TFIID e TFIIA. Il DNA spezzato in questa enelle figure successive indica che questa porzione della molecola di DNA può essere molto lunga e di lunghezza variabile.
B): disegno schematico di un esperimento in vivo il cui risultato supporta il modello del reclutamento dell’oloenzima per le proteine attivatrici; il dominio che lega il DNA di una proteina è stato fuso direttamente ad un componente proteico del mediatore, un complesso proteico a 20 subunità che è parte del complesso dell’oloenzima, ma che è facilmente dissociabile dal resto dell’oloenzima.
Quando il sito di legame per la proteina è ibrido ed inserito sperimentalmente vicino ad un promotore, l’inizio della trascrizione è fortemente aumentato; in questo esperimento, il dominio di attivazione dell’attivatore è stato omesso, suggerendo che una frazione importante del dominio di attivazione sia semplicemente quella di interagire con il complesso della RNA polimerasi oloenzima e aiutarne così l’assemblaggio al promotore. La capacità delle proteine attivatrici di reclutare il macchinario di trascrizione sui promotori è stata dimostrata anche direttamente usando immunoprecipitazione della cromatina. Le proteine attivatrici legate al DNA aumentano di norma la velocità di trascrizione fino a 1.000 volte, il che è in accordo con una interazione relativamente debole e non specifica fra l’attivatore e l’oloenzima. Oltre alle loro azioni dirette sull’assemblaggio della RNA polimerasi oloenzima e dei fattori di trascrizione del DNA, le proteine che attivano i geni promuovono anche la trascrizione combinando la struttura della cromatina delle sequenze regolatrici e dei promotori del gene. Molte proteine attivatrici fanno uso di entrambi questi meccanismi legandosi a istone acetil transferasi (HAT), note comunemente come istone acetilasi, e a complessi di rimodellamento della cromatina dipendenti da ATP, reclutandoli perché funzionano sulla cromatina nelle vicinanze. Vedi figura sotto riportata.

Alterazioni locali della struttura della cromatina dirette da proteine attivatrici eucariotiche. L’acetilazione degli istoni e il rimodellamento dei nucleosomi generalmente rendono il DNA compattato in cromatina più accessibile ad altre proteine della cellula, comprese quelle necessarie per la trascrizione.
Inoltre, schemi specifici di modificazione degli istoni aiutano direttamente l’assemblaggio dei fattori generali di trascrizione al promotore (vedi figura sopra riportata). L’inizio della trascrizione e la formazione di una struttura compatta della cromatina possono essere considerate come reazioni di assemblaggio biochimico in competizione; enzimi che aumentano, anche temporaneamente, l’accessibilità del DNA nella cromatina tenderanno a favorire l’inizio della trascrizione.

La sinergia trasacrizionale si osserva sia tra proteine attivatrici diverse legate a monte di un gene che fra molecole multiple dello stesso attivatore legate al DNA; perciò non è difficile vedere come proteine regolatrici multiple, ciascuna legata ad una sequenza regolatrice di DNA diversa, possano controllare la velocità finale di trascrizione di un gene eucariotico. Gli ordini di eventi che portano all’inizio della trascrizione, alivello di un promotore specifico, sono raffigurate nella figura sotto riportata.

L’esempio ben studiato mostrato è un promotore del lievito gemmante S.Cerevisiae. Il complesso di rimodellamento della cromatina e l’istone acetilasi apparentemente si dissociano dal DNA dopo aver agito sequenzialmente. L’ordine del passaggio della via che porta all’inizio della trascrizione sembra essere diverso per promotori diversi. Per esempio, in un caso ben studiato nell’uomo, le istone acetilasi funzionano per prime, seguite dal reclutamento della RNA polimerasi e quindi dal reclutamento del complesso di rimodellamento della cromatina.

Oltre a molecole che bloccano grosse regioni di cromatina, le cellule eucariotiche contengono anche proteine regolatrici che agiscono soltanto localmente per eprimere la trascrizione dei geni vicini. A differenza dei repressori batterici, la maggior parte non compete direttamente con la RNA polimerasi per l’accesso al DNA; piuttosto funziona con una varietà di altri meccanismi, alcuni dei quali sono illustrati nella figiura sotto riportata.

Cinque modi in cui i repressori eucariotici possono operare.

A): proteine attivatrici e repressori competono per il legame alla stessa sequenza regolatrice di DNA.
B): entrambe le protene possono legarsi al DNA, ma il reprerssore si lega al dominio di attivazione della proteina attivatrice impedendole così di svolgere le sue funzioni di attivazione. In una variante di questa strategia il repressore si lega saldamente all’attivatore senza doversi legare direttamente al DNA. C): il repressore interagisce con lo stadio precoce del complesso che si sta assemblando dei fattori generali di trascrizione, bloccando l’ulteriore assemblaggio; alcuni repressori agiscono anche a stadi tardivi dell’inizio della trascrizione, per esempio, impedendo il rilascio della RNA polimerasi dai fattori generali di trascrizione.
D): il repressore recluta un complesso di rimodellamento della cromatina che riporto lo stato dei nucleosomi della regione del promotore alla sua forma pretrascrizionale; certi tipi di complessi di rimodellamento sembrano dedicati a ripristinare lo stato represso dei nucleosomi di un promotore mentre altri (per esempio, quelli reclutati da proteine attivatrici) rendono più accessibili il DNA compattato neo nucleosomi. Tuttavia lo stesso complesso di rimodellamento potrebbe in linea di principio essere usato sia per attivare che reprimere la trascrizione: a seconda della concentrazione di altre proteine nel nucleo, potrebbe essere stabilizzato lo stato rimodellato o quello represso. Secondo questa visione, il complesso di rimodellamento permette semplicemente alla struttura dela
cromatina di cambiare.
E): il repressore attrae un istone deacitilasi al promotore; una deacitilazione locale degli istoni riduce l’affinità di TFIID per il promotore e fa diminuire l’accessibilità al DNA della cromatina interessata.

Biochimica dei tumori 052023-02-09T14:42:47+01:00

Biochimica dei tumori 04

2023-02-09T14:43:35+01:00

Basi molecolari della cancerogenesi multifasica

Gli esperimenti sul DNA dimostrano che nessun oncogene (come ad esempio, myc o ras) è in grado di trasformare completamente una cellula, mentre ras e myc associati possono trasformare i fibroblasti; in questo caso l’oncogene ras induce le cellule a produrre fattori di crescita e le mette in condizione di proliferare senza aderire ad un substrato, mentre l’oncogene myc rende le cellule più sensibili ai fattori di crescita facendole diventare “immortali”. Ogni tumore umano finora studiato mostra alterazioni genetiche multiple che consistono nella attivazione di diversi oncogeni e nella perdita di due o più geni oncosopressori; ognuna di queste alterazioni rappresenta un passaggio cruciale nella progressione che va dalla cellula normale al tumore maligno. Un esempio evidente della acquisizione progressiva del fenotipo maligno è documentato negli studi sul carcinoma del colon, come illustrato nella figura sotto riportata.

Modello molecolare dell’evoluzione del carcinoma colo- rettale attraverso la sequenza adenocarcinoma.

Angiogenesi dei tumori

Oltre alla attività proliferativa delle cellule neoplastiche vi sono anche altri fattori che influenzano la crescita dei tumori e tra essi il più importante è costituito dall’apporto ematico. L’angiogenesi rappresenta l’elemento indispensabile non solo per la continua crescita tumorale, ma anche per la formazione delle metastasi, in quanto, senza accesso al sistema vascolare, le cellule tumorali non possono metastatizzare.

Studi recenti indicano che le cellule tumorali, nelle fasi iniziali della crescita, non presentano angiogenesi; i tumori rimangono semplicemente in situ senza sviluppare nessun supporto vascolare per mesi o anni, dopo di che, probabilmente a causa di un accumulo di mutazioni, alcune cellule contenute all’interno della neoplasia acquisiscono un fenotipo angiogenetico. Il gene p53 sembra inibire l’angiogenesi inducendo la sintesi della molecola antiangiogenetica trombospondiba-1; a seguita della inattivazione di p53 conseguente all’aquisizione di mutazioni su entrambi gli alleli, i livelli di trombospondina-1 crollano drasticamente, spostando il bilancio a favore dei fattori angiogenetici. L’invasività e la capacità di produrre metastasi costituiscono caratteristiche biologiche specifiche nei tumori maligni; per staccarsi dalla massa primitiva, entrare nei vasi sanguigni e linfatici e produrre una neoplasia secondaria che cresce a distanza, le cellule tumorali debbono attraversare la serie di fasi descritte nella figura sotto riportata.

La cascata metastatica: illustrazione schematica delle fasi della disseminazione ematogena di un tumore.

Il processo metastatico può essere diviso in due fasi:

1. invasione della matrice extracellulare.
2. disseminazione vascolare ed impianto delle cellule tumorali.

Invasione della matrice extracellulare

L’invasione della matrice extracellulare è un processo attivo che può essere schematizzato nei seguenti passaggi:Your Content Goes Here

  • distacco delle cellule tumorali le une dalle altre.
  • Attacco alle componenti della matrice.
  • degradazione della matrice extracellulare.
  • Migrazione delle cellule tumorali.

Le cellule normali son ben attaccate le une alle altre ed alle cellule circostanti mediante diversi tipi di molecole di adesione quali le caderine, una famiglia di glicoproteine transmembrana. Le caderine E sono legate al citoscheletro da una famiglia di proteine dette catenine, localizzate sotto la membrana plasmatica; in alcuni tumori la caderina E è normale, ma la sua espressione è ridotta a causa di mutazioni del gene per una catenina. Per penetrare la matrice extracellulare circostante, le cellule tumorali devono prima aderire alle componenti della matrice stessa; esistono prove evidenti del fatto che l’attacco delle cellule tumorali alla lamina e alla fibronectina rappresenti una fase importante del processo di invasione e di metastatizzazione. Nella figura a fianco vengono illustrati gli eventi che portano all’invasione della membrana basale da parte delle cellule tumorali.

Le cellule perdono adesività e si staccano le une dalle altre per aderire alla membrana basale mediante i recettori della laminina. Esse secernono molti enzimi proteolitici fra cui la collagenasi di tipo IV e l’attivatore del plasminogeno; seguono poi la degradazione della membrana basale e la migrazione delle cellule tumorali.

Mentre l’effetto più ovvio della distruzione della matrice è la creazione di un passaggio che consenta alle cellule tumorali di invadere i tessuti circostanti, i prodotti che si formano dalla degradazione della matrice, derivati dal collagene e dai proteoglicani, hanno attività promovente la crescita, angiogenetica e chemiotattica.

Disseminazione vascolare e impianto delle cellule tumorali

In circolo le cellule tumorali tendono ad aggregarsi in gruppo; questo fenomeno è favorito dall’adesione omotipica tra le cellule tumorali e le cellule del sangue, in particolar modo le piastrine. La formazione di aggregati piastrine-cellule tumorali sembra aumentare la soppravvivenza e la possibilità di impianto delle cellule tumorali stesse. Questi trapianti di cellule neoplastiche possono essere riferiti a tre meccanismi così ripartiti:

  • Dato che la prima fase del processo che porta le cellule tumorali ad uscire dai vasi è rappresentato dall’adesione all’endotelio, è possibile che le cellule tumorali presentino molecole di adesione i cui ligandi sono espressi preferenzialmente sulle cellule endoteliali di organi bersaglio.
  • Alcuni organi bersaglio possono presentare sostanza chemiotattiche, quali ad esempio i fattori di crescita insulino-simili di tipo I e II, che tendono a reclutare le cellule tumorali.
  • In alcuni casi il tessuto bersaglio può risultare inospitale per la crescita delle cellule tumorali metastatiche, ad esempio producendo in loco proteasi che inibiscono l’impianto di una colonia tumorale.

Chemioterapia delle malattie neoplastiche

Al momento, la chemioterapia adiuvante segue, di norma, il trattamento locale del cancro al seno, al colon e al retto e altre localizzazioni tumorali, ed è impiegata come parte di un approccio multimodale al trattamento iniziale di molti altri tumori, inclusi stadi avanzati di neoformazioni localizzate alla testa e al collo dell’utero, al polmone, tumori cervicali ed esofagei, sarcomi di tessuti molli e tumori solidi pediatrici. Nella figura sotto riportata è riportata rassegna dei farmaci chemioterapici.

Riassunto dei meccanismi e dei siti d’azione dei chemioterapici impiegati nel trattamento della malattie neoplastiche. PALA = N-fosfonoacetil-L-Aspartato; TMP = timidina monofosfato.

Una delle più recenti scoperte sui farmaci che hanno come bersaglio il processo proliferativo è l’interleuchina-2, essa regola la proliferazione dei linfociti T tossici per le cellule tumorali e delle cellule dette natural-Killer. Questo farmaco ha dato qualche risultato antitumorale con infusione endovenosa continua in bolo ogni 8 ore per 5 giorni, a settimane alterne, ma ha dimostrato una tossicità associata all’attivazione ed espansione dei linfociti litici negli organi e nei vasi con infiammazioni e aumento della permeabilità vascolare, e al rilascio secondario di altre citochine, come il fattore di necrosi tumorale e l’interferone da parte delle cellule attivate. L’interleuchina-2 causa ipotensione, aritmie, edema periferico, azotemia prerenale, alterazione della funzione epatica, anemia, trombocitopenia, nausea, vomito, diarrea, stato confusionale e febbre.
In questa rassegna saranno presi in considerazione i farmaci chemioterapici riguardanti: sarcomi dei tessuti molli, osteosarcoma, morbo di Hodgkin, linfomi non-Hodgkin, leucemie acute, tumore della mammella, del tratto genito- urinario, della tiroide, del polmone, dello stomaco, e neublastoma.
I farmaci riguardanti le patologie sopra espresse sono: mostarde azotate, alcaloidi della vinca e antibiotici; più precisamente: Ciclofosfamide e Ifofosfamide (fra le mostarde azotate); Etoposide e Teniposide (fra le epipodofillotossine); complessi di coordinazione del platino (cisplatino; carboplatino).

Ciclofosfamide

Il farmaco viene sottoposto ad attivazione metabolica (idrossilazione) da parte del sistema delle ossidasi miste del citocromo P450 del fegato, con successivo trasporto dei metaboliti intermedi attivati ai siti d’azione. La selettività della ciclofosfamide contro alcuni tessuti tumorali può essere in parte dovuta alla capacità dei tessuti normali, come il fegato, di proteggersi dalla citotossicità degradando ulteriormente gli intermedi attivati mediante l’adeide deidrogenasi e altre vie; ma la ciclofosfamide è tossica per il fegato. Nella figura a fianco se ne riporta il metabolismo.

Ifosfamide

Si tratta di una oxazofosforina simile alla Ciclofosfamide; la Ciclofosfamide ha due gruppi cloroetilici sull’atomo di azoto fosfamidico, mentre uno dei due gruppi cloroetilici della Ifosfoamide è localizzato sull’atomo di azoto fosfamidico dell’anello oxazafosforinico. Come la Ciclofosfamide anche l’Ifofosfamide viene attivata nel fegato mediante idrossilazione; tuttavia l’attivazione della Ifofosfamide è più lenta, con maggiore produzione di metaboliti declorurati e cloroacetaldeide. Le più importanti attività farmacologiche degli alchilanti sono quelle che alterano la sintesi del DNA e la divisione cellulare. La capacità di questi farmaci di interferire con l’integrità del DNA e la sua funzione nei tessuti altamente proliferativi rappresenta la base delle loro applicazioni terapeutiche e di molte delle loro proprietà tossiche. Indipendentemente degli effetti dannosi sui tessuti con indice mitotico normalmente basso (fegato, reni, linfociti maturi), la loro tossicità maggiore è a livello dei tessuti rapidamente proliferanti in cui un gran numero di cellule è in rapida divisione e la loro tossicità è molto aumentata se il DNA viene danneggiato in cellule che stanno per dividersi; se il danneggiamento interessa la proteina p53, il gene ras, o la proteina myc, il punto di controllo del ciclo di replicazione non viene arrestato tra la fase G1 → S con la conseguenza dell’impossibilità di riparazione del danno o dell’apoptosi.
La maggioranza dei dati indica che il bersaglio primario dei farmaci alchilanti è il DNA, come indicato nella figura riportata.

Spiegazione della figura.
A: una catena laterale 2-cloroetilica va incontro a ciclizzazione intramolecolare di primo ordine (SN1) con liberazione di ioni Cl e formazione di un intermedio etileniminico molto reattivo.
B: attraverso questa reazione l’ammina terziaria viene convertita in un composto ammonico quaternari instabile, che può reagire avidamente, per mezzo della formazione di un carbocatione o di un complesso di transizione intermedio, con numerosi gruppi ad alta densità elettronica. L’alchilazione dell’atomo di azoto in posizione 7 dei residui guaninici del DNA sono in forma chetonica tautomera e stabiliscono facilmente coppie di basi di Watson-Crck attraverso legami idrogeno con residui di citosina. La guanina modificata può accoppiarsi erroneamente con i residui di timina durante la sintesi del DNA e portare alla sostituzione di una coppia di basi guanina-citosina con una coppia adenina-timina. Queste ultime modificazioni possono causare alterazioni permanenti nella struttura della sequenza del DNA, che sono compatibili con la vita della cellula e che possono essere trasmesse alle generazioni seguenti; queste modificazioni possono dare mutageni o cancerogenesi.

Tossicità di Ciclofosfamide e Ifofosfamide

Entrambe causano tossicità agli elementi del midollo osseo e alla mucosa intestinale, provocano grave mielodepressione con caduta della conta granulocitica; sono molto tossici nelle cellule delle mucose in fase di divisione, causando ulcerazioni della mucosa della bocca e denudazione intestinale. Altre tossicità d’organo, meno comuni, possono essere irreversibili e anche letali; tutti i farmaci alchilanti inducono fibrosi polmonare e, con alti dosaggi, un danno endoteliale che può che può precipitare patologie veno-occlusive del fegato; le nitrosuree, dopo cicli mutipli di terapia, possono dar luogo ad insufficienza renale; l’Ifofosamide in patologia ad alto dosaggio causa frequentemente neurotossicità centrale con convulsioni, coma e, talvolta, morte. La tossicità sul sistema nervoso centrale si manifesta sotto forma di nausea e vomito; l’Ifosfamide è il più neurotossico fra questi farmaci, provoca stati mentali alterati, coma, convulsioni generalizzate e paralisi. Tutti gli alchilanti possono indurre leucemia e hanno effetti tossici sul sistema riproduttivo maschile e femminile causando spesso amenorrea permanente, in particolare nelle donne in perimenopausa, e azoospermia irreversibile nell’uomo.

Etoposide e Teniposide

Dalla podofillotossina, estratta dalla pianta della mandragora, sono stati sviluppati due glicosidi semisintetici del principio attivo che hanno dimostrato attività terapeutica significativa in molte neoplasie umane. Etiposide e Teniposide sono simili per attività e spettro d’azione, non arrestano il ciclo cellulare in mitosi ma formano un complesso ternario con la topoisomerasi II e il DNA; la formazione del complesso provoca la rottura della doppia catena di DNA, ma il passaggio a chiusura della catena, che normalmente fa seguito al legame della topoisomerasi al DNA, viene inibito dal farmaco. L’enzima rimane legato all’estremità libera del DNA tagliato, con conseguente accumulo di frammenti di DNA e morte cellulare; le cellule nelle fasi S e G2 del ciclo cellulare sono più sensibili all’Etoposide e alla Teniposide; (se questo è il meccanismo di azione sulle cellule neoplastiche sorge spontaneo domandarsi come possa il farmaco non agire sulle cellule sane). I farmaci vengono impiegati, in associazione con Ifofosfamide e Carboplatino, nel trattamento del carcinoma del polmone a piccole cellule, nella leucemia acuta dei bambini, nel glioblastoma, nel neuroblastoma e nelle metastasi cerebrali di carcinomi polmonari. Nella figura sotto riportata sono evidenziate le strutture chimiche dei farmaci.

Effetti tossici di Etoposide e Teniposide

I principali effetti tossici sono rappresentati da mielosopressione, nausea, vomito, leucopenia, stomatite, diarrea; sono state pure osservate febbre, flebiti, dermatiti e reazioni alergiche compresa anafilassi e la tossicità epatica si manifesta specialmente dopo somministrazione di dosi elevate.

Cisplatino

Il cis-diaminodicloroplatino è un complesso contenente platino divalente, inorganico e idrosolubile; il Cisplatino sembra entrare nelle cellule per diffusione e la sua formula di struttura è la seguente

I complessi del platino possono reagire con il DNA formando legami crociati intracatena e intercatena; l’azoto in posizione 7 della guanina è molto reattivo e il platino forma legami crociati tra guanine adiacenti sullo stesso filamento di DNA; si formano rapidamente anche legami crociati guanina-adenina. I complessi del DNA con Cisplatino inibiscono la replicazione e la trascrizione del DNA e portano a rotture e errori di codifica. La specificità del Cisplatino rispetto alle varie fasi del ciclo cellulare sembra essere diversa a seconda del tipo di cellula, sebbene gli effetti dovuti alla formazione dei legami crociati siano più marcati nella fase S. La chemioterapia combinata con Cisplatino, Bleomicina, Etoposide e Vinblastina, è utilizzata per il carcinoma del testicolo; nel carcinoma dell’ovaio è impiegato con Paclitaxel e Ciclofosfamide, viene inoltre utilizzato nel carcinoma della vescica, della testa e del collo dell’utero, nel carcinoma endometriale, nel carcinoma polmonare a cellule piccole e in alcune neoplasie dell’infanzia.

Effetti tossici

L’ototossicità non varia con la diuresi e si manifesta con tinnito e perdita dell’udito nell’intervallo delle alte frequenze e può essere più grave nei bambini; nausea e vomito compaiono in quasi tutti i pazienti; dopo cicli ripetuti compare neuropatia periferica, che può peggiorere dopo l’interruzione della terapia. Disturbi elettrici comprese ipomagnesemia, ipocalcemia, ipokaliemia e ipofosfatemia sono comuni; sono state osservate iperuricemia, convulsioni, anemia emolitica e anomalie cardiache, reazioni anafilattiche, caratterizzate da edema facciale, broncocostrizione, tachicardia e ipotensione, che possono presentarsi entro pochi minuti dalla somministrazione. Per gli effetti della formazione di legami crociati il Cisplatino è mutageno, teratogeno e cancerogeno.

Carboplatino

Il meccanismo di azione e lo spettro di attività clinica sono simili al Cisplatino, ma questo è meno reattivo del Cisplatino e non si lega alle proteine plasmatiche in modo significativo; la formula di struttura è sotto riportata.


Il Carboplatino viene impiegato, come alternativa al Cisplatino, in pazienti con insufficienza renale, nausea refrattaria, problemi uditivi gravi o neuropatia; la sua dose di impiego deve essere modificata in proporzione alla riduzione della clerance della creatina in pazienti con valori inferiori a 60 mg/ml.

Effetti tossici

Nausea, neurotossicità, ototossicità e nefrotossicità sono meno frequenti che con il Cisplatino; la principale tossicità dose-limitante è la mieolosoppressione, che si manifesta con trombocitopenia.

Biochimica dei tumori 042023-02-09T14:43:35+01:00

Biochimica dei tumori 03

2023-02-09T14:44:04+01:00

Proteine coinvolte nei meccanismi di trasduzione del segnale

Le proteine ras sono state identificate per la prima volta come prodotti di oncogeni virali; in alcuni tumori (quali ad esempio i carcinomi del colon, del pancreas e della tiroide) l’incidenza di mutazioini del gene ras è molto elevata; la mutazione del gene ras rappresenta la seconda più frequente anomalia di oncogeni dominanti riscontrata del tumori umani.Le proteine ras sono localizzate sul versante citoplasmatico della membrana plasmatica e passano continuamente da uno stato attivo, che trasmette il segnale, ad uno stato inattivo; nello stato inattivo le proteine ras legano il guanosin difosfato (GDP), quando le cellule vengono stimolate dai fattori di crescita o da altre interazioni ligando-recettore, il ras viene attivato scambiando GDP con GTP e il ras attivato innesca a sua volta la cascata delle MAP (Mitosis Activating Protein) chinasi reclutando la proteina citosolica raf-1; le MAP-chinasi così attivate agiscono su specifici fattori di trascrizioni nucleari e, pertanto, promuovono la proliferazione.

Il ciclo rodinato della proteina ras dipende da due reazioni:

  • Lo scambio di nucleotide (GDP con GTP) che attiva la proteina ras.
  • L’idrolisi del GTP, che converte il ras attivo legato al GTP, nella foma inattiva legata la GDP.

La rimozione del GDP e la sua sostituzione con GTP durante il processo di attivazione del ras sono catalizzati da una famiglia di proteine che inducono il rilascio di nucleotidi guanilinici; tali proteine vengono reclutate sul versante citoplasmatico della forma attiva dei recettori dei fattori di crescita mediante proteine adattatrici. Queste proteine sono molto diffuse e si legano al ras attivo aumenatndone più di 1.000 volte l’attività GTPasica; questo processo produce la rapida idrolisi del GTP a GDP e interrompe il processo di trasduzione del segnale. La risposta a questa funzione frenante delle GAP sembra mancare quando il gene ras è effetto da mutazioni; le proteine ras mutate si legano alle GAP, ma la loro attività GTPasica non è aumentata, le proteine mutate rimangono quindi imprigionate nel loro stato eccitato, legate al GTP e provocano una patologica attivazione del segnale mitogeno. Nella leucemia mieloide cronica e in alcune forme di leucemia linfoblastica acuta l’attività tirosi-chinasica del prot-oncogen c-abl viene atitvata in seguito alla traslocazione del gene c-abl dal cromosoma 9 dove è normalmente localizzato, al cromosoma 22, dove si fonde con una parte del gene bcr (break-point cluster region); il gene ibrido che deriva da questa fusione ha una potente attività tirosin-chinasica. Vi sono dati che provocano che il gene abl non sia coinvolto solo nei meccanismi che regolano la proliferazione, ma anche in quelli che regolano la morte cellulare.
Vedi figura sotto riportata.

Modello di attivazione del gene ras. Quando una cellula normale è stimolata dalla attivazione di un recettore per un fattore di crescita, la forma inattiva ( legata al GDP) del ras viene attivata, passando ad uno stato a cui si lega al GTP. Il ras attivato recluta raf-1 e stimola la via della MAPchinasi, che trasmettono il segnale al nucleo. La proteina mutata rimane permanentemente in uno stato attivo in quanto non è in grado di idrolizzare il GTP; conseguentemente la cellula viene continuamente stimolata anche in assenza di segnali esterni. L’ancoraggio del ras alla membrana cellulare mediante la catena farnesilica è necessario per la sua azione.

Proteine regolatrici della trascrizione nucleare

Il destino finale di tutte le vie di trasduzione del segnale è quello di entrare nel nucleo e di regolare la trascrizione di un gran numero di geni che controllano la normale progressione della cellula attraverso le diverse fasi del ciclo cellulare; questo processo è regolato da una famiglia di geni i cui prodotti si localizzano alivello del nucleo, dove a loro volta controllano la trascrizione dei geni che ragolano la proliferazione. Un intero gruppo di oncoproteine, fra cui i prodotti degli oncogeni myc, myb, june e fos si localizzano nel nucleo; tra questi il gene myc è quello più comunemente coinvolto nella genesi dei tumori umani. Gli effettivi meccanismi di controllo della proteina c-myc sulla replicazione cellulare non sono ancora completamente chiariti; è stato però dimostrato che, sia prima che dopo il trasporto nel nucleo, la proteina c-myc forma un eterodimero con un’altra proteina chiamata max e l’eterodimero myc-max è un potente attivatore trascrizionale che si lega a specifiche sequenze di DNA. Un altro membro di questa super famiglia di regolatori trascrizionali, mad, può legarsi a max e formare un dimero; l’eterodimero mad-max agisce come repressore della trascrizione e sembra che il livello di attivazione trascrizionale di c-myc sia regolato non solo dai livelli dalla proteina c-myc ma anche dalla quantità e disponibilità delle proteine max e mad.
Mentre l’espressione c-myc è perfettamente regolata durante la normale proliferazione cellulare, le versioni trasformanti di myc sono associate ad una persistente espressione e, talvolta, ad una iperespressione della proteina myc; questo porta ad una aumentata trascrizione di geni critici e alla possibile trasformazione neoplastica. Una alterata regolazione di c-myc conseguente a traslocazione è quella che si verifica nel linfoma di Burkitt, un tumore delle cellule B; inoltre c-myc è implicato nei cacinomi della mammella, del colon, del polmone e in molti altri, mentre i geni N-myc e L-myc (correlati a c-myc) sono amplificati nei neuroblastomi e nel carcinoma del polmone a piccole cellule.

Regolatori del ciclo cellulare

Per comprendere le alterazioni del ciclo cellulare che portano al cancro è essenziale ricordare le normali funzioni di queste proteine ed i meccanismi che le regolano; le chinasi-ciclina dipendneti guidano il ciclo cellulare fosforilando specifiche proteine bersaglio che sono indipsensabili per la progressione della cellula nelle diverse fasi. Vedi figura sotto riportata.

Schema che illustra il ruolo delle cicline e delle chinasi ciclina-dipendenti (CDK) nella regolazione del ciclo cellulare. Nell’esempio riportata, la CDK viene espressa costitutivamente in una forma inattiva e viene attivata solo dopo essersi legata alla ciclia D, sintetrizzata nella fase G1; la forma attivata della CDK consente alla cellula di attraversare il punto di controllo che si interpone tra la fase G1 e la fase S mediante la fosforilazione della proteina del retinoblastoma (pRb). Appena la cellula entra nella fase S, la ciclina D viene degradata, riportando la CDK in uno stato inattivo.

Queste chinasi sono espresse costitutivamente durante tutto il cuclo cellulare in una forma inattiva e vengono attivate mediante fosforilazione dopo essersi legate ad un’altra famiglia di proteine chiamate cicline; a differenza delle CDK le cicline vengono sintetizzate durante specifiche fasi del ciclo cellulare e la loro funzione è quella di attivare le CDK.
Sebbene ogni fase del ciclo cellulare venga attentamente controllata, il passaggio dalla fase G1 alla fase S rappresenta un punto di controllo estremamente importante, in quanto, una volta che una cellula ha oltrepassato questa barriera, è autorizzata a procedere verso la fase S. Quando una cellula riceve segnali che ne promuovono la crescita, durante la fase G1 precoce si ha la sintesi delle cicline di tipo D, che si legano alla CDK4 e CDK6; in una fase più avanzata dela G1 si ha poi la sintesi della ciclina E che a sua volta si lega alla CDK2; vedi figura sotto riportata.

Lo schema illustra il ruolo delle cicline, delle CDK e degli inibitori delle chinasi ciclina- dipendenti (CDK) nella regolazione del ciclo cellulare. La freccia sfumata identifica la fase del ciclo cellulare durante la quale sono attivi specifici complessi ciclina/CDK. I complessi ciclina D/CDK4, ciclina D/CDK6 e ciclina E/CDK2 regolano la transizione G1 → S fosforilando la proteina del retinoblastoma (pRb). I complessi ciclina A/CDK2 e ciclina A/CDK1 sono attivi nella fase S; il complesso ciclina B/CDK1 è fondamentale per la tansizione G2 →M. Esistono due famiglia di inbitori delle CDK: una famiglia è costituita dai cosiddetti inbitori INK4 ed è composta dalla proteina p15, p16, p18, p19 che agiscono sui complessi ciclina D/CDK4 e ciclina D/CDK6; l’altra famiglia di inibitori è costituita dalle tre proteine p21, p27, p57, che sono invece in grado di inibire tutte le CDK

Attivazione degli oncogeni

Si distinguono due tipi di modificazioni:

1. modificazioni della struttura del gene che provocano la sintesi di un prodotto genico anomalo (oncoprpteina) con funzione aberrante.
2. modifcazioni della regolazione dell’espressione genica che provocano una aumentata o inadeguata produzione della proteina, strutturalmente normale, che stimola la crescita cellulare.

Mutazioni puntiformi

Mutazioni puntiformi dei codoni 12, 13 e 61 dei geni N-ras, H-ras e K-ras causano sostituzioni amminoacidiche nelle proteine ras; le stesse così mutate attivano costitutivamente la trasduzione del segnale mediata da queste molecole. Mutazioni dei geni ras sono un evento molto diffuso in svariatissimi tumori umani: nei tumori solidi, possono considerarsi praticamente ubiquitarie, mentre nell’ambito delle neoplasie ematologiche esse sono ristrette alle leucemie linfoidi e mieloide acuta e al mieloma multiplo. Nella figura sotto riportata è espressa la rappresentazione schematica dei principali meccanismi di lesione genetica dei proto-oncogeni e dei geni oncosopressori.

Al centro della figura è esemplificato un gene normale, costituito dalla sequenza codificante (cioè gli esoni, rappresentata dal rettangolo bianco) e da sequenze regolatorie (SR), in posizioe 5’ rispetto alla sequenza codificante. Nel caso dell’amplificazione, il gene intero viene moltiplicato in un alto numero di coppie, spesso 50-100 nei tumori umani. Nel caso delle mutazioni puntiformi, un singolo nucleotide della sequenza codificante (indicato in figura con una M) viene sotituito da un altro nucleotide e questa sostituzione nucleotidica conporta una sostituzione aminoacidica a livello della proteina codificata dal gene. Nel caso della delezione, un tratto di genoma di dimensioni variabili viene perso dal corredo cromosomico della cellula; in figura la delezione è limitata alla sequenza codificante del gene. Nel caso della traslocazione, due geni, in condizioni normali
situati su cromosomi diversi, vengono giustapposti; nel caso in figura, i due geni implicati nella traslocazione e derivati da cromosomi diversi sono rappresentati da due rettangoli di diverso colore (uno bianco ed uno grigio). Le traslocazioni dei tumori umani comportono due effetti principali: in un primo caso, la traslocazione può sostituire le normali sequenze regolatorie del gene con quelle del gene cui viene giustapposto; nel secondo caso, i due geni coinvolti nella traslocazione possono forndersi in un unico gene ibrido, che darà luogo ad un trascritto di fusione.

Sebbene le mutazioni del ras siano molto comuni, la loro presenza non è essenziale per il processo di cancerogenesi; il processo di cancerogenesi può avvenire attraverso diverse vie e, tra esse, quelle della mutazione del ras e certamente una delle più seguite.

Riarrangiamenti cromosomici

Le due forme di riarrangiamento cromosomico che possono attivare proto-oncogeni sono così ripartite:

1. nei tumori linfatici, traslocazioni specifiche producono la iperespressione di proto-oncogeni mettendoli sotto il controllo degli elementi regolatori dei loci delle immunoglobuline e del recettore del linfocita T.
2. in molti tumori emopoietici le trasclocazione fanno si che sequenze normalmente non legate tra loro e localizztae su cromosomi diversi si ricombinino e formino geni ibridi che codifcano per le poteine chimeriche capaci di promuovere la crescita cellulare.

Il miglior esempio di iperespressione di un proto-oncogene indotta da una traslocazione è rappresentato dal linfoma di Burkitt; tutti questi linfomi sono caratterizzati dalla presenza di almenao una di tre possibili traslocazioni, tutte interessanti il cromosoma 8q24 (dove è stato mappato il gene myc) ed uno dei tre cromosomi in cui sono localizzati i geni delle immunoglobuline. Nel linfoma di Burkitt la forma più comune di traslocazione è quella in cui un segmento del cromosoma 8 contenente c-myc viene trasfrito sul cromosoma 14, banda 32; questa traslocazione porta c-myc vicino al gene che codifica per la catena pesante delle immunoglobuline (IGH). I meccanismi molecolari di attivazione di c-myc in seguito alla traslocazione sono variabili, in tutti i casi, comunque, le sequenze codificanti del gene rimangono intatte ed il gen c-myc viene espresso costitutivamente ad alti livelli. Il cromosoma Philadelphia, caratteristico della leucemia mieloide, cronica e di un gruppo di leucemie linfoblastiche acute, rappresenta un classico esempio di un concogene che deriva dalla fusione di due geni originariamente separati. In questo caso, infatti, una traslocazione reciproca fra cromosomi 9 e 22 porta alla porzione troncata del proto-oncogene c-abl (che origina dal cromosoma 9) vicino al locus bcr sul cromosoma 22; il gene ibrido c-abl-bcr codifica per una proteina chimerica che ha attività tirosin-chinasica; vedi figure sotto riportate.

Traslocazioni cromosomiche e oncogeni coinvolti nel linfoma di Burkitt e nella leucemia mieloide cronica.

Geni oncosopressori

La funzione fisiologica di questi geni è quella di regolare la crescita cellulare e la perdita di questi geni è un evento chiave in molti, se non in tutti, i tumori umani; i geni oncosopressori più significativi che controllano il ciclo cellulare e la trascrizione nucleare e che regolano pertanto la divisione cellulare.

Il gene Rb

La proteina Rb prodotta dal gene Rb è una fosfoproteina nucleare che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del ciclo cellulare; nel suo stato attivo p-Rb costituisce un freno al passaggio dalla fase G1 alla fese S del ciclo cellulare. Quando le cellule sono stimolate a dividersi, la proteina Rb viene inattivata mediante fosforilazione (pRb-P), il freno è rimosso e la cellula può passare il punto di controllo interposto fra la fase G1 e la fase S; una volta entrata in fase S, la cellula è in grado di completare il ciclo mitotico anche in assenza di ulteriori fattori di crescita. Le cellule quiescenti (nella fase G0 o G1 precoce) presentano la forma attiva, cioè ipofosforilata di pRb; in questo stato, pRb inibisce la regolazione cellulare legando e quindi sequestrando, i fattori di trascrizione che appartengono alla famiglia E2F. Quando le cellule quiescenti vengono stimolate da fattori di crescita, la concentrazione di cicline D ed E si innalza e la conseguente attivazione dei complessi ciclina D/CDK4, D/CDK6 e E/CDK2 portano alla fosforilazione di pRb; la forma ipoerfosforilata di pRb rilascia i fattori di trascrizione E2F, i quali formano degli eterodimeri con la famiglia di proteine DP ed attivano la trascrizione di diversi geni bersaglio. I dati più recenti sulla biochimica di queste attività suggeriscono che il complesso pRb-E2F si leghi attivamente al DNA e inibisca la trascrizione dei geni che controllano la fase S; risulta chiaro che lo stato di fosforilazione di pRb rappresenta un elemento critico per la progressione del ciclo cellulare. Se la proteina Rb è assente (causa una delezione del gene che la codifica) o se la sua capacità di regolare i fattori di trascrizione della famiglia E2F è alterata da mutazioni, i freni che agiscono sul ciclo cellulare vengono rilasciati e la cellula progredisce verso la fase S. Le osservazioni che emergono da quanto descritto sono: la perdita del controllo della normale proliferazione cellulare è un evento centrale del processo di trasformazione maligna e che almeno uno dei quattro elementi regolatori del ciclo cellulare (p16, ciclina D, CDK4, Rb) risulta mutato nella grande maggioranza delle neoplasie maligne umane. Vedi figura sotto riportata.

Ruolo di pRb nella regolazione della trascrizione G1 → S del ciclo cellulare. La forma ipofosforilata di pRb complessata ai fattori di trascrizione E2F si lega la DNA ed inibisce la trascrizione dei genei i cui prodotti sono necessari alla fase S del ciclo cellulare. Quando pRb viene forsforilata dai complessi ciclina D/CDK4, D/CDK6 e E/CDK2, rilascia i fattori E2F che attivano la trascrizione dei geni che regolano la fase S. La fosforilazione della di pRb è inibita dagli inibitori della CDK in quanto essi inattivano i complessi ciclina/CDK. Virtualmente tutte le cellule neoplastiche presentano una deregolazione del punto di controllo interposto tra la fase G1 e la fase S dovuta alle mutazioni di uno dei 4 geni che regolano la fosforilazione di pRb; questi geni (Rb, CDK4, ciclina D e p16) sono indicati da un asterisco.

Il gene p53

Le azioni relative alla proteine E2F richiede, par la sua ttività, la funzione del gene p53; questi è localizzato sul cromosoma 17 (banda p13.1), e rappresenta la seconda sede più frequente di alterazioini geniche nei tumori umani. La perdita omozigote del gene p53 si riscontra virtualmente in tutti i tipi di neoplasie, compresi i carcinomi del polmone, del colon, della mammella, che rappresentano i tre casi di morte più frequenti nelle neoplasie. La proteina p53 è localizzata nel nucleo, e quando entra in azione la sua funzione primaria è rappresentata dal controllo di trascrizione di diversi altri geni; probabilmente per l’azione proteolitica del sistema mediato dalla ubiquitina, la sua emivita è breve (20 minuti), pertanto a differenza di pRb, non sorveglia il ciclo cellulare. La proteina p53 entra in gioco come freno di emergenza quando il DNA è danneggiato da radiazioni ionizzanti, luce ultravioletta o sostanze chimiche mutagene; in risposta a questi attacchi al patrimonio genetico della cellula, il prodotto del gemne p53 si lega al DNA e stimola la trascrizione di alcuni geni che mediano due funzioni fondamentali: l’arresto del ciclo cellulare e la apoptosi. L’arresto del ciclo cellulare avviene nella fase G1 tardiva ed è causato dalla trascrizione, mediata da p53 e dell’inibitore delle CDK p21 inibendo in questo modo la fosforilazione di pRb necessaria alla progressione della cellula nella fase S. P53 interviene direttamente in questo processo inducendo la trascrizione di GADD45 (Growth Arrest and DNA Damage), una proteina coinvolta nei processi di riparazione del DNA; se il danno viene riparato con successo, p53 attiva un gene chiamato mdm2, il cui prodotto si lega a sua volta a p53 e lo inattiva, sbloccando in questo modo il ciclo cellulare.
Se invece il danno al DNA non può essere riparato in maniera soddisfacente, la p53 induce i geni dell’apoptosi: i geni bax e IGF-BP3 che stanno sotto il controllo di p53 e che eseguono l’ordine di morte che parte da esso. Riassumendo, p53 è in grado di riconoscere il danno al DNA e di contribuire alla sua riparazione bloccando le cellule in G1 ed attivando geni specifici; una cellula che abbia subito un danno al DNA che non può essere riparata è indirizzata da p53 all’apoptosi. Tenendo conto di queste sue funzioni, nel caso in cui si abbia una perdita omozigote di p53, il danno al DNA non viene riparato e le mutazioni permangono nelle cellule che, continuando a dividersi, iniziano un percorso destinato alla trasformazione maligna. Vedi figura.

Ruolo di p53 nel mentenimento dell’intergrità del genoma.

Geni che regolano l’apoptosi

Recentemente è stata identificata una grande famiglia che regolano l’apoptosi; il primo gene antipaptotico identificato, il bcl2, appartiene ad una grande famiglia di proteine che formano omodimeri ed eterodimeri, alcuni dei quali inibiscono l’apoptosi (come lo stesso bcl-2 e bcl-xS) mentre altri ( come bax, bad e bcl-xS) favoriscono la morte cellulare programmata. La base biochimica dell’azione di bcl-2, che portano all’attivazione di enzimi proteolitici (caspasi), responsabili della morte cellulare, non sono ancora ben note, ma sulla bse delle conoscenze attuali, questi meccanismi possono essere così riassunti:

  • Il rilascio del citocromo C dai mitocondri che sembra rappresentare una fase critica della catena degli eventi che portano alla morte cellulare.
  • Localizzati strategicamente sulla membrana mitocondriale esterna, bcl-2 ed i suoi partner si pensa regolino l’uscita del citocromo C dal mitocondrio verso il citoplasma.
  • La risposta di una cellula agli stimoli apoptotici è determinata dal rapporto tra antagonisti (bcl-2, bcl-sL) ed agonisti (bax, bcl-xS, bad e bid) della morte cellulare; pertanto, sebbene gli omodimeri di bcl-2 favoriscano la soppravvivenza della cellula (probabilmente annullando bax che forma canali per l’uscita del citocromo C), gli omodimeri di bax favoriscono l’apoptosi. Vedi figura sotto riportata.

Regolazione della morte cellulare da parte di bcl-2, bax e p53. I dimeri di bcl-2 favoriscono lk’accumulo delle cellule inibendo l’apoptosi, mentre i dimeri di bax la favoriscono. La capacità del gene p53 di indurre l’apoptosi è mediata in parte dall’amentata sintesi della proteina bax.

Biochimica dei tumori 032023-02-09T14:44:04+01:00
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